LA PERFORMATIVITA' DELLE NUOVE TECNOLOGIE:
VIVERE ESPERIENZE CORPOREE LIMINARI ATTRAVERSO I DISPOSITIVI DI INTERFACCIA



Attraverso il concetto di performatività del digitale può essere possibile operare una costruzione di senso a livello teorico nei confronti dell’agire comunicativo che i nuovi media digitali offrono, e nello stesso tempo si è aiutati nell’evidenziare il carattere di metacomunicazione che qualifica il rapporto con le interfacce ipertestuali.

Con l’intervento delle nuove tecnologie si è resa necessaria una ridefinizione delle categorie d’analisi per interpretare l’incontro fra i nuovi linguaggi comunicativi e le forme della loro materialità espressiva, materialità che favorisce la messa in scena partecipativa del nostro corpo. E’ possibile vivere performance corporee interagendo con le icone immateriali nello schermo di un computer, con i touchpad di un’installazione interattiva, collegandosi agli ipertesti della Rete, divertendosi nella fruizione di un videogioco, immergendosi in un ambiente di Realtà Virtuale, per estensione operando una commistione psicofisica con determinati dispositivi di interfaccia.

Paradossalmente è proprio tramite i testi virtuali che il linguaggio si connota di una certa materialità, poiché questi permettono al fruitore di operare concretamente la messa in scena del proprio corpo-mente attraverso la manipolazione e l’ibridazione dei codici comunicativi.

La dimensione performativa del linguaggio comunicativo si traduce quindi nella possibilità di interagire con i media stessi, operando una costruzione personalizzata di reti e spazi ipertestuali.

L’individuo "ri-versa" il suo io nell’artificialità della rappresentazione digitale e conseguentemente lo moltiplica e lo rende fluttuante, ridefinendo le proprie appartenenze identitarie e socioculturali, operando quindi una sperimentazione performativa in un territorio di confine. L’utente della comunicazione digitale non instaura più con il testo un’interazione unicamente di tipo cognitivo come nei media monodirezionali, ma può lasciare le proprie tracce visibili negli ipertesti degli ambienti digitali. Allo stesso tempo i significanti messi in scena dal medium riorganizzano l’universo cognitivo del fruitore, articolando secondo un modello "frattale" le sue modalità di interpretazione del testo. Si genera quindi una relazione di bio-feedback fra medium e utente, dando origine a un rapporto comunicativo non più trasmissivo, ma perturbativo, attraverso cui l’individuo è invitato a "sporcarsi le mani" con gli ambienti grafici di superficie, come se stesse esplorando dei mondi partendo dalla loro manipolazione. L’individuo mediante i dispositivi di interfaccia fa esperienza della comunicazione, relazionandosi performativamente con i simulacri plastici del linguaggio. In questo universo metacomunicativo si offre quindi la possibilià di effettuare delle vere e proprie pratiche sperimentative, attraverso cui smaterializzare la nostra sensorialità agendo direttamente nella materialità delle forme comunicative, colmando quindi lo scarto fra elemento testuale e azione psicomotoria. Attraverso l’azione consapevole del nostro simulacro corporeo è possibile rimodellare i nostri immaginari collettivi operando una costruzione e decostruzione critica dei modelli mentali con cui ci rapportiamo al reale e che sono concretamente visibili nella stuttura delle interfacce ipertestuali che danno forma al cyberspazio.

Il virtuale in questo senso diventa uno stimolo per riflettere e lavorare sulle forme di comunicazione, di relazione e di appartenenza culturale attraverso la messa in scena co-performativa dell’insieme corpo-mente della nostra collettività. Questo sta già avvenendo da tempo in particolari ambiti dell’arte digitale: gli artisti diventano creatori di contesti di scambio e gli individui, mediante i dispositivi di interfaccia in cui sono invitati ad agire praticamente, diventano co-autori di un processo artistico aperto. L’arte quindi abbandona la sua dimensione oggettuale per smaterializzarsi in pratiche reali, attraverso cui sperimentare un uso collettivo e autogestito dei media tecnologici.

Un esempio concreto della possibilità di rendere l’arte una modalità di interazione performativa ci viene dato dall’opera di Victoria Vesna (USA) Bodies Incorporated, in cui l’entrare a far parte di un universo immateriale di corpi autocostruiti facilita la riflessione sulle nostre appartenenze socioculturali. L’opera è nata come un Sito Internet ed è stata poi esposta anche in alcuni spazi istituzionali (per esempio nel San Francisco Art Institute durante il 1997) per permettere all’artista di non perdere il contatto diretto con il pubblico. Si presenta come un complesso gioco interattivo in cui la persona è invitata, accettando alcuni limiti d’azione iniziali, a costruire il proprio corpo scegliendo fra una serie di elementi che permettono di personalizzarlo. Si può scegliere il nome, il genere, la preferenza sessuale, l’età, il materiale, ordinando le diverse parti del corpo come se si prendesse parte ad un’operazione commerciale: in questo modo si diventa membri della comunità di corpi virtuali. E’ possibile ottenere e scambiare nuovi parti del corpo e, partecipando attivamente al gioco, si può modificare il proprio status, che diventerà sempre più elevato facendo aumentare il margine d’azione del partecipante all’interno del contesto virtuale. I corpi potranno essere esposti nello Showplace (in cui vi è anche un Forum di discussone) o si potrà organizzare la loro morte nella Necropolis, mentre quelli abbandonati o dimenticati dai costruttori verranno collocati nel Limbo. Per rendersi conto dello stato del gioco si possono consultare le statistiche sulle caratteristiche della popolazione virtuale, che si dimostrano anche un utile specchio delle preferenze dei partecipanti reali. Attraverso Bodies Incorporated è possibile riflettere sulle modalità del commercio elettronico e sui suoi limiti, sulla psicologia delle comunità virtuali, sulla costruzione identitaria, sul rapporto mente-corpo, sulle dinamiche relazionali e di gruppo, sul discorso della presunta democraticità dei mezzi telematici. E’ vero quindi che con la Rete è possibile aumentare il nostro margine d’azione e autocostruire un proprio percorso visivo e creativo, però questo non toglie il rischio di manovre regolamentative, anzi lo accentua. L’opera di Vesna vuole porre l’attenzione sul contrasto fra libertà performativa attraverso la spontanea costruzione di corpi e limiti giuridici, dettati dalle regole a cui si deve sottostare fin dall’inizio e che mettono in rilievo il concetto di copyright e l’impossibilità di riporodurre e contaminare il materiale presente nel Sito.

La materialità del comunicare si dimostra anche in questo: i bit che formano le regole scritte si traducono direttamente nei bit che limitano l’azione dei corpi virtuali e la loro manipolazione collettiva.

Quindi non è tanto il mezzo in sé (la Rete) a conferire libertà d’azione e di creazione, ma gli scopi e le condizioni che ne determinano l’uso e quindi la volontà di mantenere uno spazio di apertura in cui la comunicazione diventi materiale fluttuante da costruire attivamente per dare vita a nuove configurazioni mentali e…corporee.

URL:www.arts.ucsb.edu/~vesna