L’ARTE DIGITALE COME PRATICA REALE:

PARTECIPARE ALLA COSTRUZIONE DEI CODICI COMUNICATIVI ATTRAVERSO L’AZIONE DI UN SIMULACRO CORPOREO COLLETTIVO



C’e’ un filo rosso che collega le sperimentazioni artistiche delle Avanguardie del Novecento, quelle delle Neoavanguardie degli anni Sessanta-Settanta, le pratiche punk, dei writers e degli hackers con la creazione di contesti interattivi ad opera di chi lavora creativamente con gli strumenti digitali. Ognuna di queste Zone attive contribuisce per alcuni aspetti a provocare una dissacrante rottura con il concetto tradizionale di Arte, facendovi allentare le sue maglie rigide al fine di introdurre la vita quotidiana e l’azione concreta degli individui. L’arte diviene pratica collettiva, territorio di sperimentazione performativa sui codici del linguaggio, possibilità di intervenire personalmente nella creazione del prodotto-processo artistico, interstizio aperto di costruzione e decostruzione del senso del flusso comunicativo.

Tutta la storia dell’arte del Novecento, ha progressivamente determinato la dissoluzione del concetto di Arte come merce fissa da appendere al muro o da esporre in un museo pietrificato, soggetta alle regole di un mercato artistico chiuso e condizionata da un Sistema dell’Arte onnicomprensivo. Si è cercato di rendere attiva la figura dello "spettatore", includendola in un evento espressivo impermanente di cui si sarebbe potuto fruire solo diventando registi dei propri percorsi di senso. E’ richiesta al fruitore un’operazione cognitiva che esuli dall’immergersi nelle derive della sua distrazione e che permetta invece di interagire realmente con il prodotto artistico, testandone la criticità personalizzandolo.

Anche la figura dell’artista come creatore auratico, è stata progressivamente frammentata nell’azione dei fruitori invitati a vivere collettivamente l’happening artistico (basta pensare al movimento Fluxus), in modo da poter dare vita ad un evento processuale potenzialmente senza fine e orientato dalla spontaneità creativa del pubblico.

Il movimento punk ha contribuito a collettivizzare la concezione dell’arte, dimostrando che non esiste un artista da elevare a genio ed un pubblico relegato nelle paludi della passività, e che è possibile autoprodurre la propria arte a partire dall’autogestione dei mezzi comunicativi. Attraverso l’uso orizzontale degli strumenti mediatici il punk ha permesso a chiunque di realizzare la propria musica, le proprie riviste (le punkzine), il proprio materiale informativo rompendo il dualismo industra culturale/pubblico massificato e rendendo ognuno parte attiva nella creazione della propria arte.

Il concetto di autogestione delle forme espressive ritorna anche se si prendono in considerazione le pratiche dei writers, attraverso cui il "prodotto artistico" si fa gesto performativo che viaggia nelle derive postmetropolitane, avviluppato dalla vita stessa della città e all’unisono con i suoi ritmi accelerati. Una TAG diviene gesto che viaggia, identità nomade che comunica con altre identità nomadi, elemento impermanente in un contesto caleidoscopico.

Tutte queste T.A.Z. sono anche l’esempio di come l’arte e la tecnica si siano sempre più avvicinate e come, proprio da un utilizzo consapevole e autogestito dei mezzi di comunicazione e degli strumenti del linguaggio, sia possibile concepire un’arte "su cui mettere le mani sopra", su cui "hackerare", dando vita ad un evento-flusso in evoluzione collettiva. Nell’arte digitale interattiva questa spirale di progressiva smaterializzazione e collettivizzazione comincia a roteare ancora più vorticosamente e diviene fantasmatica anche la figura dello spettatore, che va ad agire direttamente nel prodotto-processo artistico attraverso l’azione psicomotoria del suo corpo simulacrale.

Si crea una zona di confine immateriale (che possono essere le interfacce grafiche di un computer, ambienti di realtà artificiale e virtuale, installazioni interattive, ecc.) in cui l’individuo può costruire e decostruire i propri percorsi comunicativi, agendo direttamente attraverso il suo fare smaterializzato nelle icone del linguaggio. A differenza dei media generalisti, in cui ci si riconosceva in un simulacro generalizzato e imposto dall’alto, i nuovi media offrono in questo senso la possibilità di personalizzare i fantasmi dell’immaginario, rendendoli pratiche reali. Quindi, mentre con i media tradizionali l’evento comunicativo si realizzava tramite l’azione di un io nascosto che si proiettava nei grandi simulacri universali animati sullo schermo, con i nuovi media interattivi l’utente acquista visibilità e può lasciare tracce personali nel medium attraverso la messa in scena performativa di un suo simulacro corporeo, di un corpo virtuale fluidificato. Il rapporto con il medium diviene quindi psicomotorio e l’azione dell’utente il perno centrale del processo comunicativo.

Un’arte che sta al passo con i tempi, è quindi quella che si rapporta all’attuale configurazione socio-culturale tecnologica e che permette al fruitore di essere il protagonista dell’evento artistico, dandogli la possibilità di autodeterminarlo. In più, ai co-autori (perché è così che andrebbero chiamati), attraverso i media interattivi e "globali", si offre la possibilità di dare vita a comunità virtuali che vadano a formare un reticolo rizomatico di azioni e reazioni, contribuendo a creare un processo artistico in evoluzione collaborativa.

L’artista in questo senso diviene il creatore di contesti di scambio, colui che dispone la piattaforma in cui il fruitore può iniziare la sua danza intrecciandola a quella di altri numerosi corpi virtuali, che come lui lasciano tracce sui dispositivi di interfaccia autodeterminando così la propria identità.

L’arte ha quindi senso se è il fruitore ad agire, a con-versare con altri corpi smaterializzati, partecipando ad un evento collettivo che viaggia attraverso i link virtuali come un virus riproducibile. L’opera artistica diviene un flusso di continue manipolazioni, contaminazioni, riproduzioni, alterazioni dei codici del linguaggio e delle icone attraverso cui questo si manifesta: nasce e si sviluppa quindi a partire dall’azione orizzontale e improvvisata di più persone.

L’arte si va a fondere con il gesto degli individui, con i loro corpi, con gli universi virtuali autodeterminati, con le derive fluttuanti dei link, con l’azione della nostra mente che si fa protesi digitale, con le pratiche autogestite……originando continui episodi aperti da riempire con reti di relazioni individuali intersecantesi.