PARTE 3
I DOCUMENTI

DOCUMENTO 1

C’era una volta in una galassia lontana, lontana...
Quello che segue è stato scritto tra settembre e dicembre 1977. Doveva far parte di un lavoro di riflessione collettivo più ampio ed articolato sulle nostre esperienze in quegli anni... ma, come sempre in ritardo, il resto del documento è arrivato solo vent’anni dopo...

Penso che il lavoro teorico che vogliamo fare debba ripercorrere in modo cronologico l'esistenza del circolo , sfruttando per questo la memoria collettiva dei compagni, la loro capacità critica di analisi a posteriori. La cronologia è importante e deve diventare il filo conduttore di questa autocoscienza collettiva in cui ogni compagno deve gettare, come in un pentolone. il suo frammento (il più possibile elaborato e completo) di storia e di impressioni soggettive, di riflessione, di analisi...

... Comunque lo sforzo dovrebbe essere più grande: occorrerebbe individuare le linee generali, oggettive, esterne alla soggettività di ognuno di noi come individuo, perché risultanti dallo scontro / incontro, dal rapporto, dall’interazione di tutte queste volontà personali / particolari tra di loro e con la realtà esterna al circolo.

Non troppo tempo fa qualcuno aveva proposto la formazione di una commissione scribacchini che si occupasse specificamente di portare avanti questo lavoro come stimolo per la ripresa della discussione sul modo CONCRETO, QUOTIDIANO in cui il circolo esiste e sulle sue prospettive future.

Infatti i tentativi come questo corrono il grosso rischio di trasformarsi in autocompiacimento, in seghe mentali che al massimo riescono a tradursi (come adesso) in qualche foglio battuto (male) a macchina senza minimamente riuscire a cambiare la realtà. Voglio dire cioè che se si fa della teoria senza che questa diventi il presupposto per l'azione pratica, concreta, è meglio farsi delle pippe vere
(che poi è anche più divertente).


Credo che ci si scordi troppo spesso dei presupposti e del clima da cui eravamo partiti nel lottare per la realizzazione di un circolo giovanile.

Mi ricordo di grossi gruppi di amici che giravano da una piola all'altra, da un cine all'altro e che in casa, dell'uno o dell’altro, proprio non ci stavano tutti.

Mi ricordo di quelli all’angolo della farmacia, di quelli di piazza Statuto, e, tutti, per quanto ne so, erano proprio stufi di finire sempre nelle piole o al cine o all'angolo di qualche strada, oppure di restarsene in casa soli col giradischi e i libri.

Il problema fondamentale per tutti era di avere uno SPAZIO fisico coperto all'asciutto dove potersi trovare, che fosse sufficientemente grande da starci tutti quanti.

Mi sembra che al centro di tutto ci fosse la volontà di rendere più umana la nostra esistenza da subito, anche attraverso la creazione di questo punto di riferimento nei quartieri dove poter parlare dei soliti problemi, non limitandoci alla loro enunciazione e denuncia, ma trovando la forza e inventando i modi per risolverli.

Si discuteva di tempo libero, dei problemi di chi ne aveva poco perché lavorava, si discuteva di rapporti interpersonali più umani e meno alienati, si discuteva di gite, di sesso, dell'amicizia e anche del padrone, del governo, di "politica".

Poi c'era Milano che indicava come tutti i nostri problemi personali, individuali, psicologici e umani e culturali, fossero problemi generali ricollegabili alla struttura stessa della nostra società, alle sue distorsioni, al suo funzionamento. L'esperienza collettiva di massa milanese si ricollegava così alle nostre esperienze personali dando loro un respiro più ampio, politico. Così si parlava di disgregazione, emarginazione, alienazione, solitudine, bar, discoteche, eroina, pornografia, calcio, come di un unico grosso meccanismo montato su dai padroni per fregarci e dividerci pure nei quartieri, nelle nostre case, con gli amici, nel nostro stesso cervello: un sistema che è tutt'uno con le fabbriche le scuole, gli uffici, le caserme.

Queste considerazioni comportavano da parte di tutti nuove pratiche di vita, nuovi comportamenti, nuovi discorsi, un grosso numero di persone nuove che via via si aggregavano. Tutto ciò ha sconvolto i vecchi gruppi e i vecchi giri di amici che erano stati il nucleo fondamentale attorno al quale si era formato il circolo.

Il circolo come collettivo imponeva a tutti (o almeno credo) un cambiamento: la necessità di uscire da una pelle e di entrare in un'altra.

Si diceva molto in quel periodo che bisognava stare bene assieme in un modo diverso e nuovo rifiutando i vecchi schemi di comportamento, e questo voleva dire molta attenzione agli altri per capirli, conoscerli, accettarli, apprezzarli, per rompere tutti quei muri, quelle barriere che ci hanno piantato profondamente nella testa: diffidenza, prevenzioni, paura, aggressività verso l'estraneo, il diverso.

Ricordo che tutto questo tendeva a coinvolgerci in tutti gli aspetti della nostra esistenza anche emotivamente, e che si era giunti a parlare della necessità della vita in comune e della coabitazione alternativa ai modelli tradizionali famigliari (nucleari) e quindi del problema della casa e dell'organizzazione di occupazioni, dell'impostazione corretta della convivenza a partire dalla divisione dei lavori e degli spazi domestici.

Si parlava di stravolgere il concetto di casa come rifugio, isolamento, eremo, isola, porto sicuro, e molti compagni confrontavano il loro diverso modo di porsi a proposito di problemi quali l'intimità, la "roba mia' ecc.

Nelle riunioni si provava a "mettere in discussione' sia il ruolo di chi parlava sempre o parlava difficile (e da questo derivava del potere nei confronti degli altri) , sia il ruolo dì chi non parlava mai perché sommerso dai problemi psicologici e personali dai quali non sarebbe mai venuto fuori da solo (da questo punto di vista a me personalmente il circolo ha dato veramente molto).

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Piuttosto velocemente però è successo che discorsi che prima correvano parallelamente a quelli che ho ricordato finora prendessero il sopravvento acquistando il rilievo maggiore e relegando gli altri ad un ruolo marginale.

Questi discorsi riguardavano la politica e la sua prassi usuale (che era nella testa di molti).

C'era la fretta di "uscire in quartiere", di "fare qualcosa in quartiere" per mobilitare, per aggregare, per contare, per essere una forza riconosciuta.

In generale si rispondeva con molta violenza a chi proponeva "l'isola felice" (com'era chiamata dispregiativamente allora) e cioè a chi riproponeva alla discussione problemi (tuttora irrisolti) che riguardavano rapporti e tensioni interpersonali, il sesso, la coppia, i nuovi dell'ambiente che venivano emarginati, i gruppi esclusivi e i rapporti privilegiati che ricomparivano.

Anche per me riproporre quei problemi era indice di una carenza di coscienza politica generale; era indice di una specie di individualismo settario e corporativo che pretendeva quasi di volersi separare dal mondo tendendo alla ricerca della felicità e del benessere in modo egoistico ignorando la realtà e quindi la politica. Secondo me è indubbio che questa tendenza isolazionista, cosi come l'ho detta (e cioè negativa), ci sia stata e sia ancora presente nella testa di molti, ma io credo che si sia fatta confusione tra questa tendenza e la giusta esigenza di risolvere quei problemi di cui avevano solo discusso e che avevamo solo elencato, denunciato, ma che erano sempre li di fronte a tutti noi e a cui ognuno di noi dava risposte personali, individuali.

Si confondeva (io confondevo) l'isola felice con la volontà di chiarire fino in fondo, PRATICARE e VIVERE le nostre idee. Come conseguenza colera tre l'altro molta nebbia sugli obiettivi CONCRETI sui quali mobilitare le "masse giovanili".

Comunque la pratica che noi abbiamo seguito ha, nei fatti e al di là delle intenzioni, attaccato e messo in secondo piano quei bisogni in nome della "POLITICA": Andreotti, Malfatti, Berlinguer, cortei, scioperi nazionali o parziali, il sindacato, il riformismo, i picchetti, le occupazioni, coscienza di classe politico-ideologica ecc.

Basta pensare ad esempio al ruolo marginale che ha avuto il malessere causato in molti dalla rottura dei vecchi gruppi, il rompersi di vecchie amicizie, di vecchi equilibri e ruoli e di come tutto questo sia stato quasi ignorato da tutti, fatta eccezione per chi veniva toccato in prima persona. Oppure pensiamo un po' a come ci si è scordati in fretta di Vinadio e di tutto il discorso sulla pratica collettiva anche nelle vacanze che aveva dietro.

La roba che non ha funzionato secondo me è proprio il rapporto tra il personale ed il politico: non siamo riusciti a connettere il nostro particolare con le cause d'ordine generale per trovare cosi il modo di cambiare noi stessi e nello stesso tempo incidere sulla realtà sociale attraverso la pratica di comportamenti, obiettivi alternativi, antagonisti al sistema.

Le cause possono essere molte

1. la mancanza di chiarezza precisa sul perché del circolo e sul dove si volesse andare a finire, derivata dalla mancanza di una discussione approfondita e collettiva. Questo aveva come conseguenza il permanere della contraddizione di fondo a cui accennavo prima: personale-politico, particolare generale, circolo o centro sociale, circolo o oratorio, lotta o isola felice.

2. La forza del movimento a Milano e i suoi obiettivi per cui si andava un po' al traino, un po' 'copiando'

3. La presenza, molto forte, dell'odio più sfrenato per qualsiasi forma organizzativa o struttura più o meno definita, e per l'assunzione di responsabilità più precise da parte di qualche compagno (i cosiddetti capi). Questo rifiuto, questo astio, era presente in moltissimi compagni in generale ed ha pesato tantissimo nel circolo dove regnavano (in apparenza) lo spontaneismo e l'anarchia più totali.

Secondo me invece la forma organizzativa c'era come c’erano delle responsabilità più precise più o meno riconosciute, più o meno volute, prese o delegate. Questa struttura, con la divisione al suo interno di compiti e ruoli ecc. era sicuramente informe ed incompleta, ambigua proprio perché la sua esistenza derivava dalle necessità pressanti, contingenti, dalle scadenze irrinunciabili, dalle consuetudini, dai ruoli.
Era ambigua perché la sua esistenza era continuamente e polemicamente negata e colpevolizzata e quindi nessuno aveva chiari in testa i suoi compiti e i suoi limiti. Si aveva molta paura che qualcuno potesse dirigere qualcosa o addirittura stabilire cosa dovesse essere fatto e cosa no: ma questo era quello che accadeva tutti i giorni. in ogni momento: e per fortuna che accadeva, altrimenti? ... ) Mancava (manca) una discussione approfondita da parte di tutti su questo problema per la sua soluzione reale, concreta e per non limitarci a dire a parole -"qui non comanda nessuno" - " qui nessuno deve avere più potere " - "qui nessuno deve fare il leader' e il giorno dopo ritrovarsi a essere diretto o a dirigere o a lamentarsi del ruolo di A. (per fare un esempio a caso) che proprio la sera prima avevamo abolito con un bel discorso (di parole).

4. Ultima, ma non per importanza (anzi!) la politica generale, nazionale, economica, partitica lo sfasciarsi sia ideologico che organizzativo di tutta la sinistra ," nuova", extraparlamentare ecc.

Il PCI e la sua cogestione del potere:
Lama, Palazzo Nuovo,

L'atteggiamento della Giunta comunale)

l'Autonomia Operaia ed il problema della pratica del bisogno, dell'illegalità di massa, della lotta armata, della violenza, del terrorismo.

Non mi sento assolutamente in grado di trattare da solo e in modo esteso e approfondito tutti e tre questi punti. o La scomparsa totale dei Gruppi ( LC, AO N.d.R.) ha provocato l'aggregazione attorno al movimento dei giovani di un numero sempre più alto di ex militanti, militanti infelici, militanti e basta.

Questo faceva si che il circolo fosse sospinto verso il terreno politico tradizionale; i militanti tendevano a sostituire nel ruolo che prima era dell'organizzazione i circoli giovanili portando i circoli a diventare i famosi tappabuchi, soldatini, jolly ecc. Punto di riferimento nelle assemblee cittadine per la convocazione di manifestazioni ecc. Questo ruolo ci ha viso alle prese con un mare di problemi (PCI, governo, Autonomia operaia, rapporto con la classe operaia, sindacato no - sindacato si) che riproponevano la spaccatura netta tra la nostra vita quotidiana e i suoi bisogni irrisolti ed i nostri comportamenti politici Tutto questo ha ridato tra l'altro un grosso spazio alle spaccature ideologiche nel circolo tra i militanti di "opposte fazioni" (leggi AO ed LC). Ho letto un articolo su A rivista anarchica dove si accusavano LC e AO di aver trasformato i circoli in una specie di scuola quadri, per poi risucchiare e accaparrarsi i compagni più bravi, gli "elementi migliori".
A quanto ne so simili accuse sono circolate insistentemente a Parella e mi ricordo di articoli usciti su LC sulla situazione del coordinamento milanese e sugli scazzi AO-MLS-LC -AUT.OP. e sulle varie spaccature. Mi ricordo anche della Scala e delle divisioni che già allora si erano verificate, ricordo Santana qui a Torino. Non ho voglia di tirare delle conclusioni da questo elenco parziale, è una roba che andrebbe fatta in tanti, mi sembra però che si possa dire tranquillamente che "l'aria è parecchio pesante ed inquinata": Tutto questo riporta al problema (grossissimo e irrisolto) del rapporto tra organizzazione "autonoma" di massa e le sue forme da una parte e organizzazione "complessiva" (partito) dall'altra.

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E veniamo ai costi che abbiamo pagato per il protrarsi di tutta questa situazione che ho cercato di riassumere schematicamente per punti.

  1. Moltissimi giovani compagni e giovani e basta (tanti, TROPPI) non si sono più sentiti interessati, stimolati da quanto si faceva nel circolo, sono stati espropriati e questo è successo in tutta Torino (senza parlare poi degli effetti della repressione..)
  2. tutti questi o non si sono più visti oppure hanno scelto il ruolo di ospiti o di spettatori saltuari e passivi o di partecipare al traino senza voglia vera, senza carica, senza creatività
  3. richiami veementi (moralistici) alla retta via della politica, della coscienza di classe e ideologica da parte di chi si assumeva oggettivamente, al di là delle sue intenzioni, il ruolo di capo e di maestro. Conseguenza: frustrazioni, le cose fatte male, fatte a metà, le robe solo dette e mai praticate.
  4. Si sono smarrite totalmente, assolutamente nella mente e nella PRATICA (soprattutto e purtroppo) tutti i vecchi contenuti, i vecchi discorsi, tutte le proposte originali e originarie su cui era nato il circolo.

Questo ha voluto dire principalmente il perdersi di ogni possibilità di ogni sua crescita, sia in termini di forza numerica (di massa) e sia in termini di carica, di compattezza, forza ideologica e teorica data dalla discussione, ma soprattutto dalla pratica di comportamenti, abitudini, obiettivi (vita quotidiana meno alienante, tempo libero, sesso, cultura) da cui lo scagamento, la pigrizia, la noia, la frustrazione, la confusione, la tristezza, il menefreghismo, l'individualismo, l'incomprensione, la paranoia, la ricerca di altre strade e soluzioni, il ritorno alle vecchie abitudini, al solito, all'usuale, alla TRADIZIONE.

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A proposito di tutte le iniziative che abbiamo preso, a partire dalle feste per finire alle commissioni, la musica ecc. Quello che mi viene in mente di brutto è che nonostante parlassimo molto di fare le cose in modo nuovo, "alternativo", nel momento in cui le nostre idee avrebbero dovuto concretizzarsi nella pratica, nella realtà, di fronte all difficoltà di esplicare nei fatti la novità, ci siamo sempre fermati, ci siamo persi nell'illusione dell'invenzione spontanea, come se le cose nascessero, si creassero e si inventassero da sole; quasi che bastasse essere giovani e magari proletari, perché tutto zompasse fuori alternativo, creativo, utile e originale. A me l'esempio della Fiaba di Pazzariello ha dimostrato che qualsiasi tentativo di fare e inventare porta con sé come presupposti un grosso sforzo, un grosso lavoro e una forte volontà, anzi, un forte desiderio di fare e di inventare.


Torino settembre - dicembre 1977

 

Documento 2

28 settembre 1977
tratto da un tentativo di riflessione e di verbalizzazione (su alcuni fogliettini) dopo un'assemblea generale del circolo

Paoletta: dare il bianco al circolo è subalterno al fatto che ci si facciano delle cose, iniziative, discussioni ecc.

Michelino: le cose appena dette sono la riproposizione dell'isola felice e della chiusura in se stessi mentre fuori c'è di tutto

Angelo: questi sono discorsi vecchi e superati dai fatti: la gente c'è già, la gente viene al circolo, la gente ha voglia di fare. Ci sono limiti allo scagamento, nessuno prende iniziative quando basterebbe:

  1. fare una colletta per tirare su un po' di soldi
  2. dare il bianco almeno alla stanza per i cartelli
  3. Ninetto potrebbe incaricarsi operativamente della colletta
  4. continuare col lavoro teorico appena proposto e iniziato
4 gennaio 78 - Appunti.

il problema sollevato da Gerri sulla mancanza di disponibilità nei confronti dei compagni esiste il ghetto c'è e non è cambiato siamo noi ad essere stanchi e sfiduciati ricordarsi: Raf chiedeva di dare una prospettiva organica e politica (nel senso del cambiamento della realtà) alle questioni della coppia (sessualità) rapporti umani e socialità, il vissuto personale.

Abbiamo detto migliaia di cose, ma quante se ne sono fatte? Ad esempio il nuovo stile di lavoro e di discussione che non viene assolutamente praticato