Douglas Preston

Nel cuore dell’Oltrarno fiorentino, in Piazza S. Spirito, abbiamo incontrato Douglas Preston: ne è uscita un'intervista densa e interessante.

Usciti fuori dal colorito bunker del Caffè Ricchi, in piazza, ci siamo ricordati che questo è stato il capolinea ideale delle passeggiate - insieme nostalgiche e investigative - del maresciallo Guarnaccia, il personaggio dei gialli di Magdalen Nabb, e ci siamo chiesti “Chissà se un giorno il detective Pendergast...”

 

 

Douglas Preston ha firmato i suoi romanzi più famosi con Lincoln Child, editor in una casa editrice americana che diversi anni fa commissionò a Preston un libro sul Museo Nazionale di Storia Naturale di New York. L'idea di scrivere un romanzo a quattro mani ambientato nel museo venne a Preston, e Child accettò di buon grado: il risultato fu Relic, un thriller che è diventato un film di successo. Altri romanzi della coppia, tutti tradotti in italiano, Reliquary, Mount Dragon, Marea, Maledizione e Ice Limit. Ultimo, in anteprima mondiale, La stanza degli orrori.

Preston ha scritto da solo alcuni saggi e un romanzo, Jennie.

 

 

 

 

 

 





 

INTERVISTA A DOUGLAS PRESTON

Luca CONTI, Graziano BRASCHI, Leonardo GORI, Mario SPEZI, Linda DI MARTINO

Incontrano

DOUGLAS PRESTON

11 aprile 2002, ore 18
Caffé Ricchi, Piazza S. Spirito, Firenze


Da sinistra: Braschi, di Martino, Gori, Preston, Spezi


D (Luca) - Sei già stato a Brescia per A qualcuno piace... giallo ?

R Ci andrò domenica 14 aprile. Intanto sono andato a Milano: ho incontrato i lettori nel giardino di una biblioteca e alla Libreria del Giallo, da Tecla Dozio. Tecla mi ha dato un libro dicendomi "devi assolutamente leggerlo", è un libro di Leonardo Gori , I delitti del mondo nuovo, il cui inizio è ambientato nel New England, il mio paese

D (Luca) Ma il tuo romanzo La stanza degli orrori è uscito prima in Italia che negli Stati Uniti?

R Sì, è una situazione un po' particolare.

D (Luca) E' la prima volta che succede? I vostri romanzi sono sempre usciti prima negli USA?

R Sì. Non lo so perché. Forse la casa editrice vuole presentare il libro in Italia prima che io torni in America, ai primi di giugno.

D (Luca) Quale idea ti sei fatta, del tuo successo in Italia? Il tuo editore italiano ti soddisfa?

R Sì, va tutto bene. Qualche settimana fa -, il libro era appena uscito - mi sono arrivati parecchi messaggi dai fan italiani, che dicevano "ho letto il libro, molto bene!, mi è piaciuto molto!"

D (Luca) I tuoi libri sono già tutti usciti in italiano?

R No.

D (Luca) Quanti ne sono stati tradotti?

R Per ora, in Italia, sono usciti cinque titoli. Ma ho scritto anche tre saggi.

D (Luca) I libri scritti insieme a Child sono usciti tutti?

R Sì, quelli sì. Ma i miei saggi no. Ho scritto un altro romanzo, Jennie, senza Child, anni fa. E' stato tradotto in italiano. Non ha avuto un gran successo...

D (Luca) Di che genere è?

R E' un romanzo dal tono più serio di quelli scritti assieme a Child. Parla di uno scienziato con due figli, che ha allevato uno scimpanzé in famiglia per un esperimento scientifico... e finisce male, molto male: per la famiglia e per lo scimpanzé... la Disney, che ha comprato i diritti cinematografici, ha deciso di cambiare il finale....

D (Luca) Che film è?

R Un film per la televisione. Non è molto buono.

D (Leonardo) Spero di non andare troppo fuori tema.C'è una differenza sostanziale, a mio avviso, tra l'horror e il nero di matrice europea e l'horror e il nero di stampo americano. Mi sembra che quest'ultimo sia molto più contaminato di quello europeo. Come autore un po' a cavallo tra il vecchio mondo e il nuovo mondo, come autore che, diciamo, è un po' anche "italiano", come vedi la differenza tra i due tipi di horror?

R A me sembra che i libri neri italiani siano più "neri" di quelli americani, i loro finali sono spesso negativi, a differenza di quelli americani che non hanno spesso una fine molto "nera" ["Sono consolatori", suggerisce qualcuno; "rassicuranti", altro suggerimento; "come Hollywood", un terzo].
I film italiani, come quelli francesi, sono molto più neri. In America si cerca troppo spesso il lieto fine.

D (Leonardo) Si può dire che la struttura del nero americano - sia cinematografico che letterario - è più rassicurante... anche nei peggiori libri neri [americani] c'è sempre un limite...

R Sono d'accordo, perché nei libri americani non si trova l'inquietudine che si trova nei libri neri italiani. E io preferisco i libri italiani.

D (Graziano) Europei, forse è meglio. Però è ovvio che non si può fare di tutta l'erba un fascio: in realtà l'horror e il nero americano hanno diverse correnti. Ad esempio Lansdale, Skipp & Spector (lo splatterpunk) sono stati molto neri, nient'affatto consolatori.

R Anche Raymond Chandler, per esempio, non è molto consolatorio. Sì, non si può semplificare troppo, ma in genere c'è il desiderio di rassicurare il lettore, nei libri americani.

D (Leonardo): Io non ho letto Shining di Stephen King, però ho amato moltissimo il film di Kubrick. Quindi io mi riferirò al film, non al libro, che non conosco. Parlo del film di Kubrick che, secondo me, è un capolavoro immortale del cinema. E' un film apparentemente senza uscita, come il labirinto finale, in cui il protagonista è ucciso, congelato al centro del labirinto. In realtà, anch'esso è rassicurante, per lo stesso fatto di essere un film chiuso, un film in cui tutto ha un significato logico, in cui c'è un collegamento razionale tra le parti: tutto torna come un'equazione. In certi horror europei, invece, non c'è un filo di speranza, proprio perché non c'è nemmeno un filo di uscita, bensì un buco nero. Nei pochi che ho visto io, esagerando e forse semplificando, mi sembra che un po' dell'horror americano si possa ritrovare ad esempio in Joe Dante, in certi aspetti di Spielberg. Consolatorio proprio in quel senso: sembra un'opera chiusa che ha un senso in quanto è chiusa...

R Molto interessante. Sono d'accordo con quello che hai detto. Ad esempio il mio libro, Jennie,è molto nero. I lettori americani non hanno amato per niente questo libro, ma in Francia è andato molto bene. Non so in Italia, ma in Germania sì, e in Giappone ancora meglio... ma in America proprio no. E anche l'ultimo libro mio e di Child, Barriera di ghiaccio [Ice Limit], ha una fine poco rassicurante.

D (Luca) Sono situazioni sulle quali i tuoi editor ti muovono appunti?

R No. Ma i lettori spediscono un sacco di e-mail con scritto "Ehi!, questo libro è terribile, ma come hai potuto fare una cosa del genere? Non voglio leggerti più... non comprerò mai più un tuo libro perché è giusto fare così!" I lettori si sono molto arrabbiati…

D (Luca) E' un rischio che sei consapevole di correre, quando decidi di non mettere un lieto fine?

R Siamo degli autentici vigliacchi, perché con Ice Limit abbiamo ucciso il protagonista, un tipo molto positivo, molto interessante, e dopo forse duemila e-mail abbiamo deciso di resuscitarlo e nel nostro sito web abbiamo addirittura scritto che non era veramente morto.... [Braschi: "Questo è successo anche quando Conan Doyle ha fatto fuori Sherlock Holmes..."] Sì... sì, Conan Doyle ha voluto uccidere Sherlock Holmes, ma non è stata un'operazione facile e di grande successo, perché poi ha dovuto farlo tornare in vita. I suoi lettori erano troppo sconvolti...

D (Spezi) Quale personaggio uccideresti ora? James Bond, non so... Chi uccideresti?

R Io?

D (Spezi) Uno di questi personaggi... tipo James Bond... Berlusconi...

R James Bond, no: vivrà per sempre!

D (Braschi) Quindi, sei sulla stessa linea d'onda di Cappi, se ho capito bene? James Bond, Martin Mystère vivranno per sempre.

R Beh, sì, Bond è una grande "compagnia" per gli scrittori ... Ah, un'altra cosa: quando lo scimpanzé Jennie alla fine viene ucciso, un tipo dell'ambiente del cinema mi ha detto "non si fa così, perché non sarebbe possibile mettere uno scimpanzé morto sul materiale promozionale del film, sul merchandising, perché il protagonista finisce male... e così non c'è niente da vendere".

D (Leonardo) Ma d'altra parte Disney ha una sua logica, una sua poetica coerente e rispettabile, dal mio punto di vista... il nero, il giallo hanno una loro logica rispettabile... quello che è orribile è la contaminazione... ciò che è spaventoso è quando la Disney ha la pretesa di modificare le cose secondo la sua estetica. Lo trovo profondamente immorale oltre che artisticamente scadente.

R Sì. Sì, è strettamente una cosa commerciale. A proposito della differenza tra europei e americani forse è la radice, la visione particolare, perché gli americani hanno una visione ottimistica e pensano che il mondo sia un posto in cui le possibilità sono infinite. Gli europei hanno una visione un po' più complicata, un po' più "nera" per ragioni storiche... in primis una storia più lunga... gli europei hanno visto la guerra in prima persona nel Novecento, gli americani no... solo l'11 settembre hanno visto di cosa si tratta, ed è stato un grande shock. Ma gli europei hanno una visione che risale molto indietro, molto più complicata.... questa, per esempio, è la radice forte di Firenze...

D (Luca) Veniamo al nuovo romanzo (La stanza degli orrori). Alla sua base hai posto un fatto realmente accaduto. Da cosa nasce questa idea?

R Abbiamo cominciato con una sola scena, senza storia, senza struttura narrativa. Su questa scena ci abbiamo pensato per due anni, come si poteva creare una storia, come tirarla fuori. Si parte da una scoperta: un enorme edificio in costruzione, a Manhattan. Nel sottosuolo di questo edificio saltano fuori 36 cadaveri smembrati, murati in una vecchia galleria. E un'archeologa del Museo Nazionale di Storia Naturale, esaminando i corpi, scopre delle piccole tracce, delle incisioni sulle ossa, che indicavano che, un secolo fa, un serial killer aveva ucciso queste persone in un modo molto particolare, rivelatore di una serie di esperimenti medici; che questi piccoli segni erano stati fatti da un chirurgo o da una persona molto abile col bisturi... ma a quale scopo? Chi era questa persona, e perché? E su questo ci abbiamo pensato per due anni, finche non siamo arrivati al plot vero e proprio. Poi la storia comincia. Il nostro detective, Pendergast, che viene da un'antica famiglia di francesi di New Orleans, indaga. Non appena Pendergast inizia ad indagare sul serial killer del passato, avviene un altro delitto eseguito nella stessa maniera. Che relazione c'è tra i delitti del passato e quello attuale? Questo è il cuore della storia.

D (Luca) Quindi stavolta avete mescolato il thriller col mystery, col giallo più classico... E' la prima volta che avete fatto una cosa del genere?

R No. Abbiamo spesso mescolato il passato col presente.

D (Luca) Questo sì, però... per esempio in Relic c'era una traccia più scientifica, se vogliamo; qui c'è un serial killer; c'è un lavoro di indagine... in Ice Limit non c'è.

R Sì. In Maledizione c'è, il passato è molto importante... Trovo il passato di New York affascinante...

D (Luca) Si tratta di un periodo non molto conosciuto, vero?

R Infatti, non è molto conosciuto. Il periodo tra la Guerra civile e il l'inizio del Novecento è molto importante per New York, che proprio allora conosceva un enorme sviluppo urbano, ma allo stesso tempo diventava una città nera.

D (Braschi) Tra l'altro proprio di recente è stato riedito un libro, anche da noi, sulle gang di New York [Herbert Ashbury, "Le gang di New York", Garzanti].

R Sì, sì, esatto.

D (Leonardo) Anche "L'alienista" di Caleb Carr tratta di quel periodo della storia di New York, e anche il tema della sotterranea di New York, con tutti quei livelli, della metropolitana... affascinante.

R Nella Stanza degli orrori la storia è assai particolare e nera. Sai cos'è il Palazzo della Memoria? E' un modo di pensare molto profondo. Pendergast ha un altro modo di pensare, come un Palazzo della Memoria, ma profondamente diverso... è il modo di pensare al passato, una procedura molto particolare che si chiama memory crossing; e grazie a questa forma mentale lui riesce a scoprire cos'è davvero successo nel passato.

D (Luca) Pendergast è già apparso in altri romanzi?

R Sì. Questo è il terzo. Il primo era Relic; poi è venuto Reliquary, e adesso La stanza degli orrori.

D (Luca) Quando avete scritto Relic avevate già idea di lasciare il finale aperto ad un eventuale sequel?

R No. Volevamo solo che ogni nostro libro fosse diverso dall'altro. Ma Pendergast ha catturato l'interesse dei lettori. Pendergast è, secondo me, un personaggio molto interessante. E allora abbiamo deciso di scrivere una serie di libri con protagonista Pendergast.

D (Luca) Ma perché creare un personaggio con radici francesi?

R Perché cercavamo una persona che fosse molto diversa dai newyorkesi, che potesse sentirsi un pesce fuor d'acqua... e abbiamo deciso di dare a Pendergast la discendenza da un'antica famiglia francese, con due rami diversi: da un lato aristocratico, dall'altro, invece, cajun che è cosa completamente diversa (i cajun sono gli abitanti dello swamp, delle paludi della Louisiana. Hanno una loro musica, una cultura molto particolare. E cajun sono anche la magia, le radici voodoo.
Queste due radici vanno di pari passo, nella famiglia Pendergast, che a New Orleans ha una storia molto particolare, perché verso la fine dell'Ottocento una folla arrabbiatissima finì per bruciare, appunto, la casa dei Pendergast... non so ancora perché, ma di sicuro ci sarà stata una buona ragione [scoppia a ridere].

D (Luca) Quanto c'è di vero in questo personaggio e nella vostra ricorstruzione? Avete fatto qualche ricerca?... io so, ad esempio, che un Pendergast era stato un famoso sindaco di Kansas City negli anni Trenta... il cognome, voglio dire, era anche abbastanza diffuso.

R La famiglia è completamente inventata, ma abbiamo fatto ricerche su famiglie simili. Anche mia cognata viene da un'antica famiglia di New Orleans, e mi ha raccontato tante cose interessanti...

D (Luca) Pensi che sia utile un personaggio che non ha un modo di pensare tipicamente newyorchese?

R Sì. Abbiamo cercato un uomo che spiccasse sugli altri. Sono stato a New Orleans, e ho spesso visitato i cimiteri locali. Ho trovato una signora, ad esempio, che conosceva tutte le cose strane che accadono attorno alle tombe: per esempio, la presenza di piccoli segni in gesso, stranezze del genere. E mi ha spiegato che si tratta di segni voodoo

D (Luca) Al momento stai scrivendo un libro da solo, così come Lincoln Child.

R Li abbiamo già terminati. Il mio libro si intitola Grave Goods e il suo Utopia.

D (Luca) Quello di Child, che genere di libro è?

R E' un technothriller.

D (Luca) E il tuo, invece?

R Il mio è molto diverso: parla di archeologia, di esplorazione.

D (Graziano) Che poi è la tua specializzazione, l'archeologia, intendo... So che hai fatto anche il consulente al Museo Nazionale di Storia Naturale di New York....

R Sì. Archeologia, paleontologia. Ci ho lavorato per otto anni.

D (Luca) Adesso vivi nel New Mexico. Lavori sempre per un museo?

R No. Faccio solo lo scrittore.

D (Luca) Come mai hai deciso di trasferirti in New Mexico?

R Perché la storia del New Mexico mi interessa particolarmente. Ho passato alcuni anni in New Mexico e l'impressione è sempre stata enorme.

D (Luca) Così avete deciso di rimanere.

R Sì. Mi piace la vita all'aperto: i cavalli, le montagne...

D (Luca) E il tuo socio Child, dove vive?

R Nel New Jersey: a lui piace il New Jersey…

D (Luca) Come si sviluppa la vostra collaborazione?

R Dapprima ci ritroviamo per definire la trama. In seguito, io scrivo la prima stesura e lui la riscrive, e già questo mi fa molto arrabbiare... così la riscrivo io ed è la volta che lui si arrabbia... Poi, da capo: lui riscrive, eccetera eccetera. Dopo due o tre passaggi di questo genere la casa editrice ci strappa il manoscritto di mano perché la data di consegna è arrivata - è tardi, è sempre tardi - e lo pubblica così com'è.

D (Luca) Vi trovate bene così?

R Sì. E' un caso fortunato che Lincoln e io si viva a tutta questa distanza... perché così non posso dargli un pugno sul naso!

D (Luca) Avete provato altri sistemi? Altri metodi?

R E' l'unico metodo che funziona. E funziona meglio quando sono qui a Firenze perché ci sono sei ore di differenza, e io lavoro di giorno e gli passo il lavoro, e lui lavora durante la notte. Così ogni mattina mi ritrovo qualcosa da fare.

D (Luca) E quando scrivi un romanzo da solo? E' più facile, o più difficile?

R E' più difficile in un senso e più facile in un altro

D (Luca) Immagino che ormai tu sia abituato a confrontarti con un altro scrittore, e così quando devi vedertela solo con te stesso puoi avere dei problemi.

R Sì, perché non sono mai sicuro che quello che ho scritto sia buono, e quando Lincoln dice "Ma che razza di stupidaggini hai scritto!", certe volte ha anche ragione, ma quando scrivo da solo non c'è nessuno che mi dica "Che mucchio di schifezze!"

D (Braschi) Beh, è l'epoca di Internet... Comunque, se proprio vogliamo fare un'annotazione storica, anche Boileau e Narcejac vivevano ad almeno trecento chilometri di distanza, e probabilmente collaboravano per posta.

D (Luca) Anch'io mi sono sempre chiesto come lavorano gli scrittori che scrivono in coppia... ognuno ha un proprio metodo, no?

R Sì. Noi sappiamo punto di partenza e di arrivo, ma non conosciamo l'itinerario esatto. E questo è importante, perché una volta abbiamo scritto un libro - che poi alla fine non è il migliore dei nostri - con un outline troppo preciso, e questo ha rovinato tutto: non era più un viaggio ma un percorso obbligato... Quando si scrive si intraprende un viaggio nell'ignoto, l'imprevedibile, e quello dello scrittore è un viaggio verso l'avventura... Lo stesso vale per i lettori: leggere un libro è come un viaggio, ma se lo scrittore è troppo preciso, e con un abbozzo troppo dettagliato, a mio avviso il gioco non funziona più: ogni magia è sparita.

D (Leonardo) Però nella narrazione se si deve mantenere una logica, se l'intreccio è complesso, è necessario farsi un piano, e avere la certezza che tutto torni, almeno per certi punti essenziali... poi, come nello swing, si lascia lo spazio per gli assoli, per l'improvvisazione... Credo che ci si debba mettere su una strada proprio per il gusto di poterla cambiare, sempre però seguendo alcuni punti fondamentali, altrimenti è sì una grande avventura ma si perde la coerenza logica, in particolare nel giallo classico. Magari non è il tuo caso.

R Servono i semafori, certo.

D (Luca) Veniamo all'aspetto tecnologico dei vostri libri. Avete bisogno di molta ricerca?

R Certo, e su questo ci dividiamo il lavoro.

D (Luca) C'è anche il rischio che qualche lettore vi dica "qui avete sbagliato"...

R Sempre. C'è sempre chi trova un errore. "Il numero di questo elemento chimico non è giusto", e cose del genere. Questo è un errore terribile che abbiamo fatto in Marea: un elemento chimico che ha, ovviamente, un numero, e noi abbiamo sbagliato il numero!

D (Luca) Come lettore, cosa ti piace?

R Soprattutto i saggi scientifici e storici, e le biografie... mi piacciono i libri che informano.

D (Luca) Quindi non sei un grande lettore di fiction.

R Leggo i libri inglesi dell'Ottocento, come Wilkie Collins, Dickens, i grandi classici.

D (Graziano) Quelli dei tuoi colleghi - intendo dire chi scrive thriller oggi -, no?

R Poco. Un po' Nelson DeMille, Michael Crichton... mi piacciono gli scrittori inglesi, più degli americani.

D (Graziano) E Stephen King?

R I racconti: sono bellissimi, incredibili. I suoi romanzi secondo me sono troppo lunghi, avrebbero bisogno di un lavoro di editing più rigoroso... Pet Sematary è un romanzo molto bello, tremendo e molto nero. In questo libro King non aveva paura di scrivere cose terribili...
E mi piace moltissimo Simenon.

D (Luca) Tu e Child avete già pensato al nuovo romanzo?

R Sì, è un libro molto nero che deluderà molto chi cerca il lieto fine. Ci sarà nuovamente Pendergast.


Alla richiesta di parlarci del libro che ha appena scritto qui a Firenze, e ambientato in Toscana, Douglas Preston glissa con suprema eleganza e non dice proprio nulla.



L'OLTRARNO DEL MARESCIALLO GUARNACCIA


Al maresciallo Guarnaccia, al suo Oltrarno e naturalmente alla sua creatrice, Magdalen Nabb, Braschi ha dedicato qualche anno fa questo ritratto:


"Pensavo: ma che città strana, vorrei proprio essere una giallista! Tutti questi palazzi un po' bui, le strade strette e antiche... Sì, in questa città c'è del mistero". La città "strana" era la Firenze della metà degli anni Settanta. La dichiarazione era di Magdalen Nabb, una giovane donna inglese arrivata a Firenze nel 1975 e poi rimastaci tutti questi anni. Che sul capoluogo toscano ha ancora scritto: "E' stata Firenze a ispirarmi: una città strana, introversa, che gira le spalle alla strada. Camminavo, camminavo e guardavo le facciate della case, le persiane chiuse, i bandoni abbassati, la striscia di cielo che lasciava filtrare appena uno spiraglio di luce, quasi una cortina di sicurezza dietro la quale poteva succedere di tutto. Mi incuriosivo quando di tanto in tanto da qualche portone intravedevo un giardino, una corte, uno spazio impensabile e segreto agli occhi del passante. Mi sono detta: ma che cosa sta accedendo in questa città?
La scrittrice inglese non lo sa ma con questa dichiarazione è vicina allo stereotipo di una Firenze, almeno nei suoi quartieri storici, malinconica e introversa, molto pratoliniana e quindi molto pittoresca. Si avvicina ma non ci entra. Lei, sia subito chiaro , non arriva nella città d'arte da turista; non è una appartenente all'ultimo manipolo di anglo-fiorentini (postremo e sparuto ricordo di quelli arrivati nel periodo che va dalla metà Ottocento ai primi quattro decenni del XX Secolo), giunti per un "scappa e fuggi" di immensità artistiche e magari colpiti sia pure in forma leggera dalla Sindrome di Stendhal. Una volta, la Nabb - in garbata polemica con questo atteggiamento - ha dichiarato di preferire per il prestito di libri in inglese, lì in Firenze, la più "italiana" biblioteca del Gabinetto Vieusseux, piuttosto che la fornitissima e attiva biblioteca del British Institute, del tutto avulsa dal contesto sociale.
La sua estetica e il suo metodo di lavoro sono quanto mai riduttivi: "I miei romanzi non sono polizieschi ad effetto. Sono tutti ispirati a fatti di cronaca, rivisitati e corretti, d'accordo, ma veri, straordinari e banali quanto lo possono essere le colonne di nera di un quotidiano...".
Sulla stessa linea di apparente basso profilo è situato l'inventario delle norme, con un soprassalto finale di poetica intuizione: "Ho un vero e proprio catalogo di ritagli suddivisi per generi: rinvenimento di cadaveri, sequestri, omicidi e via dicendo. Quando ho finalmente messo a punto un nuovo romanzo, passo delle giornate frenetiche, scrivo le prime pagine. Ci possono essere degli eventi eccezionali, come quella nevicata primaverile di qualche anno fa. Osservavo la gente incollata alla finestre e alle vetrine dei negozi, come sospesa nell'incredulità. Se qualcuno decidesse di fare un sequestro adesso, mi sono detta, non se ne accorgerebbe nessuno. E da lì scattò la molla che mi portò a scrivere Death in Springtime (pubblicato da Rusconi col titolo La montagna della paura)".

La scrittrice anglo-fiorentina ha vissuto in Firenze molto appartata, estranea in apparenza alla vita quotidiana, finendo per scrivere diversi romanzi con un unico protagonista, il maresciallo dei carabinieri Guarnaccia, quotidianamente operante tra la gente del quartiere di Santo Spirito nell'Oltrarno fiorentino.
Guarnaccia ("straniero" come la scrittrice inglese, essendo di origine siciliana) telefona ogni giorno alla famiglia in Sicilia per trarne conforto e recuperare in qualche modo le proprie radici. L'"operazione nostalgia" non gli fa perdere la costanza e il metodo di indagine che è difficile catalogare entro quelli di deduzione classica, tra confidenze e semiconfessioni, intorno ad un mistero spesso con delitto che, alla fine, non è detto che si risolva.
La Nabb - che definisce i suoi romanzi "storie fiorentine che hanno come protagonista la gente comune, posta di fronte al maresciallo in una situazione di pre-criminalità" - non fa mistero della sua stima incondizionata, anzi della sua venerazione per i carabinieri. L'Arma la ricambia facendola partecipe dei suoi metodi di indagine, e rendendole gli "onori delle armi". Si ha la sensazione, come ho già scritto e come mi piace ripetere, che con lei sia più facile scherzare sulla Regina piuttosto che sui carabinieri.
La stazione dei carabinieri comandata da Guarnaccia è quella di Palazzo Pitti, che dà su Boboli. Scelta azzeccata, a significare una presenza discreta ma sempre pronta ad intervenire. Lì dentro c'è il quartierino di Guarnaccia, luogo di confronti mentali, nonché ambulatorio per le medicazioni alle dolenzie psichiche che il mestiere fatalmente gli porta. Ed è da lì che la salda mole in divisa del maresciallo sbocca sul piazzale in discesa, ideale per il primo sguardo panoramico, prima di calare per la ricognizione sul quartiere di Santo Spirito. Itinerario breve replicato, insieme affettuoso e sospettoso (in questo contrasto, che divide l'animo generoso di Guarnaccia, sta tutto il suo essere carabiniere): da Palazzo Pitti, attraversando via Maggio, raggiunge Piazza S. Spirito, e poi il ritorno. La piazza è il capolinea di questa indagine, l'ombelico pittoresco e intrigante in cui si svolgono le vicende essenziali delle indagini di Guarnaccia. Gli artigiani, gli stanziali scompagnati, le bancarelle, la facciata curvilinea della chiesa, le improvvise modificazioni durante la giornata (il colorato e odoroso affollarsi di certe ore, e il vuoto quasi metafisico di altre), fanno eco discreto alle vicende che nascondono un mistero.
Il Quartiere di Santo Spirito e San Frediano (l'Oltrarno fiorentino) sono quartieri distinguibili e in qualche modo contrapposti all'altra parte di là dal fiume, il centro della città. Anche Guarnaccia rispetta questa divisione, tanto da provare fastidio ansioso nell'attraversare il Ponte di Santa Trinita per andare a rapporto al Comando dei Carabinieri di Borgo Ognissanti, appena di là dal ponte.
E la scrittrice su questa divisione - una linea di acqua normalmente giallastra -è esplicita: "Il fiume divide Firenze in due distinte città. Dall'Oltrarno - e io la vedo come Guarnaccia - si vede oltre il fiume un'altra città, con gente diversa. L'Arno è anche personaggio notevole, amato e temuto dai fiorentini. Infine l'Arno, come si dice, si porta via tutto, dai cadaveri ai problemi. Recentemente ho letto in un'antica cronaca di un'altra misteriosa affogata. Nel 1733 fu ripescato nel fiume il cadavere di una ragazza non ancora ventenne. Vestiva un rozzo abito da contadina, ma sotto aveva un vestito di seta da nobildonna. Un caso misterioso, mai risolto" (da un'intervista rilasciata a me).
Che il fiume faccia parte degli archetipi misteriosi e gotici della scrittrice (quasi un ricordo e una metafora dell'alluvione del novembre '66), lo dimostrano i paragrafi intensi e potenti de La straniera in pelliccia, dove viene descritto un fiume particolarmente tetro e nero che fa riaffiorare un fangoso mistero, una donna nuda avvolta in una pelliccia.
Si è visto come la topografia dei delitti di carta nei romanzi della Nabb, ci portino, facendoci girare attorno all'infinito o, meglio, in un movimento di anda e rianda, dentro il labirinto - insieme mentale, culturale e di pre-criminalità pittoresca - dell'Oltrarno fiorentino, Ombelico del mondo, pittoresco e sicuramente dotato di colore locale troppo invadente, descritto, per fortuna, dalla scrittura maigrettiana, icastica della scrittrice inglese. Come Simenon Magda recita: "Boileau diceva che se devi dire che sta piovendo, scrivi semplicemente che piove".
Rare le uscite dal labirinto. in The Prosecutor (Il Procuratore), 1986, - inedito in Italia - l'asse dell'azione scorre tra Firenze e Roma. Ma non vi è Guarnaccia, ma il magistrato fiorentino Lapo Bardi che indaga sul rapimento e l'uccisione del primo ministro ad opera forse delle Brigate Rosse (chiaro il suggerimento al caso di Aldo Moro). Il romanzo è stato scritto insieme all'allora corrispondente de "La Repubblica" Paolo Vagheggi e differisce come caratteristiche strutturali dagli altri della serie con Guarnaccia. C'è l'aggirarsi nelle vicende della saga delittuosa de The Monster of Florence, 1996 - anch'esso inedito in Italia - nei dintorni di Firenze: pour cause!
Sì, per un sequestro ci si sposta nel Chianti fiorentino (La Montagna della paura, "Death in Springtime"), ma il Maresciallo Guarnaccia lo fa con fastidio, quasi con disagio esistenziale.

L'approccio (anche quello fisico) ai fatti, l'analisi delle cause, la scoperta dei buoni e cattivi sentimenti, tutto in Guarnaccia ci rimanda a Maigret. D'altra parte la scrittrice non ha mai nascosto la sua ammirazione per Simenon, dichiarando che, nello scrivere le sue storie di crimini ambientate a Firenze, si è ispirata ad una condizione ambientale e psicologica di pre-criminalità molto simile a quella in cui si inoltra, guardingo e tetragono, il famoso commissario del Quai des Orfèvres.
In più l'ammirazione manifestata dallo scrittore francese alla giovane collega per il suo stile semplice e mimetico, espressa in una lettera , messa ad epigrafe delle indagini del maresciallo Guarnaccia, hanno fatto il resto.
La Nabb precisa: "Sono stata da sempre un'ammiratrice di Simenon. Ma non parlerei di un'influenza diretta di stile, quanto di vita. Mi spiego: Simenon e io (lui in Belgio io in Inghilterra) siamo nati sotto cieli con i medesimi colori, in ambienti analoghi (zone industriali). Insomma in latitudini simili tra loro in quanto a clima, a colori e cultura. Il fatto che Simenon avesse un'altra età conta poco. In fondo il mondo è cambiato dopo il 1950, e io ero già nata".

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