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L'AFFARE MORO

La Commissione, analogamente a quanto rilevato dalla Commissione di inchiesta sulla strage di Via Fani e sull'uccisione dell'onorevole Moro, non ha potuto non prospettarsi il problema del significato della presenza di numerosi elementi iscritti alla Loggia P2 che rivestivano in quel periodo ed in ordine a quella vicenda posizioni di elevata responsabilità.
Sono questi interrogativi che emergono dalla testimonianza, ad esempio, del sottosegretario Lettieri, che di fronte a quella Commissione ha rilevato come le riunioni al Viminale del Comitato di coordinamento tra le forze dell'ordine vedevano presente intorno allo stesso tavolo una maggioranza di iscritti alla Loggia P2, tra gli organi tecnici di ausilio ai responsabili politici. Dagli appunti del sottosegretario Lettieri risultano infatti presenti a queste riunioni, oltre ai ministri interessati e ai vertici della Polizia e dei Carabinieri, i seguenti affiliati alla Loggia P2: i generali Giudice, Torrisi, Santovito, Grassini, Lo Prete, nonché, ad una di esse, il colonnello Siracusano.
Questa constatazione pone il quesito se l'inadeguatezza degli apparati informativi e di polizia dello Stato, sulla quale si è registrato un ampio consenso tra le forze politiche, abbia avuto a suo fondamento, motivazioni di ordine esclusivamente tecnico, o sia invece da riportare ad altro ordine di considerazioni. Questa problematica non ha trovato nel corso dell'indagine ulteriori riscontri, fatta eccezione per la deposizione del commissario di Pubblica Sicurezza Elio Cioppa, vice del generale Grassini al SISDE, il quale ha confermato la testimonianza resa di fronte al magistrato di aver successivamente ricevuto dal suo superiore, all'epoca del suo arrivo al Servizio, l'incarico di effettuare ricerche nell'ambito dell'ambiente della sinistra, sulla base di informazioni e valutazioni, e tra queste anche valutazioni relative alla vicenda Moro, che il suo superiore aveva recepito direttamente da Licio Gelli con il quale si incontrava saltuariamente, nell'interesse esclusivo del Servizio.
La testimonianza non viene smentita dal generale Grassini il quale, dichiarando di non ricordare l'episodio riferito dal Cioppa, afferma peraltro che, se lo aveva riferito Cioppa – funzionario serio e competente - doveva essere senz'altro vero. Aggiunge che, se aveva ricevuto informazioni da Gelli, ciò era avvenuto non in occasione di una riunione alla quale Gelli era presente, ma in un incontro
fra lui e lo stesso Gelli.
Il problema, sul quale si è soffermato a lungo il Commissario Flamigni, si pone, al di là dei supporti documentali e testimoniali in nostro possesso, nei termini di accertare se un episodio di così tragico e rilevante momento possa essere inquadrato nel contesto dei rapporti che Licio Gelli intratteneva con i suoi affiliati.
Su tale ordine di problemi quello che la Commissione è in grado di affermare, facendo riferimento al patrimonio conoscitivo che le è proprio, è che, mentre si pone come dato sicuro l'interesse attivo e politicamente determinato delle relazioni che Gelli intratteneva con gli ambienti militari della Loggia, come è ampiamente documentato nel corso della presente relazione, per eventi e situazioni
di ben minore portata rispetto a questo tragico evento, per contro, allo stato degli atti, non si hanno sicuri riscontri sul collegamento tra questo livello qualificato di rapporti e la vicenda specifica in esame.
Queste considerazioni relative alla precisa valenza politica che Licio Gelli attribuiva ai rapporti instaurati con quegli ambienti vanno pertanto a porsi in aggiunta alle osservazioni ricordate sulla insufficienza dimostrata dagli apparati e lasciano aperti, in un più ampio contesto, gli interrogativi da più parti sollevati. Interrogativi in ordine ai quali la Commissione non è in grado di fornire
risposte certe ma che peraltro, attesa la delicatezza della materia e il suo preminente rilievo politico, non ritiene, alla luce soprattutto dell'ambiguo rapporto identificato tra Licio Gelli ed i Servizi segreti, di poter sottacere.


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