Date: Sun, 26 Oct 1997 00:49:34 +0100

To: arti-party@breton.dada.it

From: Tommaso Tozzi <T.Tozzi@ecn.org>

Subject: Re: Gallarate Tozzi e C.

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Ciao Giacomo,

 

>A) nessuno ha pubblicamente comunicato la scelta e il documento di Tommaso.

 

>B) c'era solo una piccola fotocopia del comunicato. accanto al tavolo con il Computer di Tozzi, che nessuno si preoccupava di far notare o spiegare.

 

 

Anche per tali ragioni ho deciso di modificare il destinatario del mio Premio. La documentazione della mia opera era qualcosa di molto simile a quella che puo' essere l'attivita' documentativa e promozionale di un archivio. Dato che l'archivio ancora non esiste ogni dubbio sulla sua funzionalita' e' sospeso e quindi ho deciso di modificare il destinatario del mio Premio.

 

>C) il pubblico non capiva esattamente in cosa consisteva l'0pera di Tommaso come d'altra parte molti non capivano nemmemo cosa vuol dire "cliccare" o "link" o a cosa serve il mouse ...

>ognuno di noi "artisti" presenti e' stato necessario per spiegare e "togliere aura" alla propria opera. Il non esserci piuttosto ha rischiato di avvallare quell'"aura" di mistero che cosi' comunemente viene attribuita alle opere e agli artisti "moderni"...

 

Giacomo, tu piu' di me dovresti sapere che la funzione del pubblico non dovrebbe essere quella di qualcosa a cui si deve spiegare un progetto, ma quella di parteciparvi. Se ci vuole una persona per 'spiegare' come si deve partecipare si rischia di avere un processo partecipativo sterile. Questo e' particolarmente vero quando cio' avviene durante un vernissage di una mostra. Non voglio essere categorico nelle mie affermazioni; la vita e' complessa e allo stesso modo lo e' l'evoluzione di una mostra e di una situazione espositiva, ma cio' che accade durante un vernissage, o in un luogo espositivo e' 'pesantemente' condizionato da un contesto che per statuto crea un divario che impedisce la partecipazione.

 

 

>D) la maggioranza delle opere esposte comunque non erano "feticci" o rappresentazioni simboliche della realta' ma piuttosto "interfacce" necessarie alla comunicazione o all'esperienza reale. E anche questo se alla gente in galleria non lo spieghi non lo capiscono. In altri luoghi si ma li no.

 

Mi sembra che tu abbia gia' detto tutto. E' in tali 'altri' luoghi che le interfacce funzionano e funzionano piu' spontaneamente che non in una galleria. La galleria diventa essa stessa interfaccia se potenzia tali luoghi. Per potenziare tali luoghi non e' necessario 'spostarli' o cercare di 'simularli' all'interno della galleria, ma e' sufficiente fare in modo che la galleria si trasformi in ente di promozione della comunicazione. Simulare la comunicazione in galleria trasforma la simulazione in feticcio. Promuovere la comunicazione in galleria a mio avviso e' invece ancora una zona ambigua verso cui l'estetica non ha ancora risolto il suo statuto e le sue modalità per sussumerne il senso. In particolare non vedo migliore promozione di quella di passare ogni denaro ai luoghi della comunicazione per far si che si "autopromuovano" con modalita' proprie.

 

>>E' vero che il lavoro "artistico" piu' importante e' quello che precede o

>sta fuori l'oggetto-opera, e che sta nelle relazioni, nello scambio di saperi ed esperienze ma e' anche vero che per comunicare questo "cambio di valore" e' necessario realizzare "oggetti-che-comunicano" o interfacce che permettano di farne esperienza; non importa, per me, che siano "cose elettroniche" ma piuttosto che siano comprensibili.

 

Ripeto, la questione non e' sul comprensibili o non comprensibili, ma sul rapporto che si viene a creare tra uno schema (l'opera) e il contesto (la galleria). Sono questioni vecchie e la storia dell'arte ha dimostrato ampiamente che cio' che conta non e' la comprensibilita' dell'opera ma il processo (intendo strategico oltreche' quotidiano) all'interno di cui tale opera si veniva a situare. E' stato detto e fatto di tutto, ma cio' che veramente ha contato non e' stata la sua esposizione nella galleria, bensi' la creazione di un contesto 'quotidiano' che ne favorisse l'emergere e in seguito la sua disseminazione. L'esposizione (e in seguito la museificazione) e' stato un ostacolo o meglio uno scontro. Uno scontro 'simulato' che ha puntualmente rimandato la trasmissione del senso dell'opera (e in esso lo scontro reale) a un futuro in cui il suo senso non fosse piu' coerente con l'attualita'. Credo sia giunto il momento di usare le gallerie non come luoghi di uno scontro simulato (quello tra vecchie e nuove interfacce della comunicazione possibili), ma come luoghi funzionali a potenziare l'esistenza di uno scontro attuale ma nel quotidiano, fuori dalla simulazione e nella pratica.

 

>Non mi interessa il potere della chiesa o dell'arte: io sono da un altra parte e il modo piu' efficace per "svuotarli" e non dargli importanza, in tutti i sensi.

 

Se nel tuo non dare importanza ricevi pero' soldi pubblici credo che si inneschi uno scarto troppo significativo per disinteressarsene.

 

>Ogni nuovo media ha mutato e non eliminato i media precedenti. Le gallerie cambieranno ma certe regole esisteranno sempre. Mi pare piu' interessante creare o frequentare altri "luoghi" con altre modalita' di fruizione.

 

Questo e' coerente con quanto hai detto sopra e sicuramente e' cio' che fanno coloro a cui propongo di dare i soldi del mio Premio. Ma io ritengo giusto cercare non solo di creare 'altri' luoghi, ma farlo 'anche' con i soldi del mercato dell'arte.

 

>Inoltre bisogna stare attenti a temere o criminalizzare l'estetica perche' il "bello" non e' una cosa in piu' ma un elemento fondamentale per una buona comunicazione.

 

io ho citato Perniola e vorrei che la mia affermazione venisse intesa nel senso con cui lui la esprime nel libro "L'estetica del novecento".

 

>Sono daccordo che una delle cose migliori che Gallarate puo' fare e' fornire un accesso gratuito e creativo alla rete ma e' anche vero che la rete non e' DIO. Non tutto e' possibile in rete o in Internet e comunque la connessione ti costringe a dei "sacrifici" psico-fisici che non e' detto tutti debbano sopportare.

 

Anche su questo ci troviamo d'accordo ed e' per questo che ho proposto "Isole nella Rete" che e' parte di una situazione estremamente reale e tangibile che e' quella dei movimenti e dei centri sociali. Luoghi materiali dove persone in carne ed ossa cercano di vivere in modo 'protetto' dalle dinamiche di sussunzione del capitale. Il sito web e' una delle estensioni di tali luoghi; ne e' un'estensione necessaria, ma non ne e' la sola. Io in questo caso intanto cerco di aiutare qualla piccola proaggine, ad ognuno il compito di potenziare quella come ogni altra.

 

>Bisogna lavorare per togliere "aura" alle attivita' artistiche e creative che si fanno chiamare ARTE in modo che siano alla portata di tutti, ma e anche vero che il tempo necessario a realizzare certe interfaccie o attivita' di comunicazione o ridistribuzione di energia-informazione in qualche modo deve essere riconosciuto-retribuito.

 

Ancora una volta: il problema non e' "non fare" interfacce della comunicazione o "non essere pagato" per farle. Il problema è "fare" le interfacce della comunicazione in 'altri' luoghi e "farsi pagare" per farle in tali 'altri' luoghi.

 

Your brother.