Date: Sat, 8 Nov 1997 15:45:03 +0100

To: arti-party@breton.dada.it

From: Tommaso Tozzi <T.Tozzi@ecn.org>

Subject: Re: cut-up 3

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>costruire ?

>decostruire ?

>giochino il cut up ?

>se non leggi tra righe dell'assurdo che lettore sei ?

 

Ritengo che il livello del problema va spostato sull'atto consapevole: sulla costruzione e/o decostruzione casuale o pilotata. Uno dei problemi della memetica di Dawkins (per quelle che possono essere le conoscenze di un non-biologo come me) e', secondo me, una tendenza a inquadrare l'idea evoluzionista in uno schema darwinista di casualita' (con la nefasta interpretazione che puo' conseguire di successo del piu' forte, ora va di moda usare il termine fitness, nella selezione naturale). Prediligo per certi versi alcune parti di voci che talvolta si sbilanciano verso interpretazioni lamarkiane (vedi ad esempio Gould). In particolare nell'uso della macchina per simulare modelli di vita artificiale sembra essere piu' adatta una modalita' e interpretazione evolutiva di tipo lamarkiano. Non che la macchina sia il mio interesse primario, ma voleva essere un'osservazione su un cut-up realizzato tramite una macchina. Per tornare all'inizio del mio discorso, quello che mi interessa e' "l'intenzionalita'" nel processo evolutivo, cosi' come nella comunicazione. Non mi interessa distinguere tra una intenzionalita' conscia e una intenzionalità inconscia, ma tra un agire (o evolvere) intenzionale e un agire (o evolvere) casuale. Non vorrei essere dipendente da un gene egoista, bensi' indipendente: ritagliarmi un ambito di autonomia nei processi senza la presunzione di pilotarli, ma piu' semplicemente un'intenzionalita' ad intervenirvi mutandoli. Credo che il libero arbitrio (termine sicuramente improprio ma che rende l'idea di cio' che voglio esprimere) sia un fattore determinante in tale direzione. Non so se sia una caratteristica "umana" (cosi' come quella che ci distingue nella capacita' di riflettere su noi stessi ed usare dunque un livello metalinguistico nella comunicazione). Non sono in grado di affermare con certezza un confine tra umano e non umano in riferimento al possedere una coscienza, dato che non mi e' dato fare affermazioni certe su cosa sia la "coscienza" umana. Certamente certe simulazioni della vita artificiale riconducono certi comportamenti di organismi semplici a meccanismi di reti neurali effettivamente deterministici e sicuramente non necessariamente "consapevoli". Ma da qui ad affermare che tali organismi non posseggono la "coscienza" e' un passo troppo lungo per la gamba. Come l'incontrario, individuare la coscienza in una somma meccanica di meccanismi minimi di informazione (quella che in fondo mi sembra l'ipotesi di una certa branchia dell'intelligenza artificiale compreso Minsky). Scusate se continuo a divagare, ma il problema su cui continuo a girare intorno e' quello per cui io credo sia necessario riconoscere ad ognuno di noi una propria "indipendenza" ed autonomia nel proprio grado di "intenzionalita'". E che tale atto intenzionale e individuale (come ho detto sopra non mi interessa discutere della forma conscia, inconscia, diretta o indiretta, con cui si viene ad esprimere tale intenzionalita') e' la forza e il diritto che deve essere a tutti riconosciuti. Al di la' delle macchine, dei cut up e dell'arte. O meglio, al di sopra dell'arte, nel senso che essa e' una qualita' della vita per cui l'arte definisce se stessa nel garantire l'esistenza di tale forza e diritto. La difesa dell'autodeterminazione non e' un atto di per se artistico, bensi' una qualita della vita e dell'evoluzione. Il muoversi intenzionalmente verso la difesa di "stati" di autoorganizzazione ed autonomia non e' un qualcosa in cui l'individuo e' totalmente dipendente da un gene egoista, ma al contrario sono entrambi fattori (l'intenzionalità da una parte e il patrimonio evolutivo genetico e memetico dall'altra) che coevolvono. E tale intenzionalita' e' parte della vita prima che dell'arte. Ma e' "contemporaneamente" arte quando tale intenzionalita' si muove verso direzioni di coevoluzione "mutuale", ovvero quando gli stati di coevoluzione verso cui si muove sono stati che permettono di trarre benefici dall'appartenere ad uno stato organizzato (uso il termine 'stato' in senso scientifico, non politico) non solo all'individuo, ma anche a qualunque altra entita' che partecipa e coevolve in tale stato organizzato. L'arte dunque e' quella parte della vita che difende non solo il diritto individuale all'autonomia e al libero arbitrio, ma contemporaneamente garantisce una forma di mutualismo ad ogni altra entita' che coevolve con tale individuo.

 

>probabilmente la vita stessa è un

>sottoprodotto della comunicazione intesa come fenomeno evolutivo.

 

Io invece capovolgerei i termini. Per me la comunicazione implica non semplice trasmissione di informazione, ma trasmissione di senso e dunque non semplice apprendimento di tale senso, ma soprattutto consapevolezza di tale senso. Credo (lo dico naturalmente senza avere le basi per affermarlo) che la consapevolezza sia una qualita' essenziale dei 'sistemi' viventi (uso il termine sistema e non organismo per evitare di confinare la vita solo nella materia organica), su cui penso si possa operare una distinzione rispetto al non vivente. Dunque, sillogisticamente, la comunicazione e' una qualita' dei sistemi viventi e non viceversa.

 

Trasmettere e apprendere senso ed esserne consapevole e' qualcosa che va oltre l'uso della lingua e' qualcosa che appartiene anche alle qualita' morfologiche di un'entita' (la qualita' morfologica e' essenziale nelle forme di comunicazione tra sistemi biologici e fisici). Ma diventa un fattore essenziale per operare comunicazione quando la qualita' morfologica e' 'carne' dell'entita', anche distante (!), ma pur sempre 'corpo' dell'entita'. Distante, ma non separata. La comunicazione puo' essere fatta a distanza e con corpi distanti dalla propria carne, ma da essa non separati. L'identita' (che implica al suo interno la qualita' morfologica) puo' essere disseminata, ma mai separata. Puo' coevolvere con innumerevoli altre identita', ma mai separarsi in esse. I quadretti e gli "acquerelli" sono, nel sistema delle merci, forme separate dall'identita' proprio perche' vengono sussunte da esso, ne viene spostato il senso. Possono altresi' ridiventare carne dell'identita' all'interno di sistemi comunitari differenti. L'identita' puo' essere anonima pur continuando ad essere portatrice di senso. Si puo' fare comunicazione con il senso mentre non la si puo' fare con i nomi. Scusate se continuo a divagare.

 

>la metafora operativa della MEMETICA, che pone l'essere umano fuori dal centro, essendo solamente portatore dell'iformazione genetica, il che ci ha privilegiato in molti modi, ma oggi ci rende debolmente esposti alla pignoleria dei controlli mutogeni di milioni di anni, e fortemente irresponsabili in quello memeticamente superspeed, in quanto lettori poco affinati e complessi al confronto dei fenomeni memetici...

 

Non concordo nei principi. Bisogna recuperare il centro. Ognuno di noi il proprio centro. Possono esistere sistemi di cui si fa parte e di cui non si e' centro in quanto non si e' consapevoli della loro esistenza, ma la consapevolezza implica la centralita'. Una centralita' che non significa controllo ma un tendere intenzionale verso una forma di coevoluzione mutuale che nel rispetto reciproco garantisca la nostra identita'.

 

La memetica di per se' non possiede la qualita' dell'operare "previsioni". L'operare previsioni e' una delle caratteristiche fondanti della comunicazione e della consapevolezza. Non e' possibile operare previsioni da un punto di vista decentrato. Per operare previsioni si deve stare al centro. E' una questione di impostazione del discorso. Dal 'nostro' punto di vista la memetica deve essere la condivisione di patrimoni evoluti da una molteplicita' di individualita' ognuna delle quali agisce secondo il proprio centro. Se poi tale molteplicita' produce un "individuo superiore" con un proprio centro (che non puo' essere sicuramente quello di una delle sue parti) questa e' una cosa di cui l'individuo non puo' esserne consapevole o comunque sentirsi in dovere di sottrarsi la propria centralita' per garantire quella di tale "superindividuo".

 

>io credo che discutere se autore o artista sia il termine che deve definire... cosa ?

>un ruolo ecosociale ? una categoria assicurativa e pensionabile ? cosa'altro ?

>ci pensa già l'accademia italiana a suddividere l'environment in categorie sindacali, io credo che scienziato, artista, scrittore eccetera dovrebbero fondersi in ognuno e dare vita ad una genìa di esseri tattici e strategici, in un mondo che elide la domanda nel momento stesso in cui viene posta...

 

Questo e' ineccepibile e mi trovi totalmente concorde.

 

>le reti neurali sono effettivamente un punto interessante e di sicuro effetto, dopo la pastoia ruolo/identità, ma probabilemente quello della metafora operativa di VITA ARTIFICIALE lo è ancora di più...

 

Tieni conto che la "moda" scientifica della vita artificiale e' partita principalmente in conseguenza al convegno organizzato da Langton nel 1987 appunto sulla "Vita artificiale". Che negli atti di tale convegno si fa riferimento principalmente a modelli di simulazione al computer di comportamenti e meccanismi biologici, tipici degli esseri viventi, ma simulati principalmente attraverso gli algoritmi tipici delle reti neurali, attraverso forme di programmazione bottom-up in cui il comportamento emerge spontaneamente dal basso anziche' essere implicito nelle regole globali di tipo top-down. La vita artificiale non si contrappone alle reti neurali, anzi sembrerebbe averne bisogno per spostare il piano della ricerca da quello dell'intelligenza a quello della vita. In particolare la vita viene indagata non sul piano della materia ma su quello del comportamento. In tal senso semmai c'e' una distinzione tra il sistema neuronale di un individuo (materiale) e i gli algoritmi e i procedimenti delle cosiddette reti neurali o neuronali simulate computazionalmente. La vita artificiale (se si esclude certe sue parti) parte dal presupposto di poter simulare dei modelli di comportamento della vita senza avere bisogno di un supporto "organico". E' proprio su tale pretesa e ambiguita', sul distinguere la vita dalla consapevolezza (o se si vuole chiamiarla coscienza o intelligenza), che trovo dei limiti di tale branchia del sapere a cogliere gli aspetti tipici dell'essere umano. Ritengo tuttavia che gli scienziati che portano avanti tali ricerche siano non solo consapevoli, ma in linea di massima corretti nel denunciare i limiti delle proprie ricerche. E' altresi' interessante andare ad indagare nel campo delle nanotecnologie, eventualmente collegandole agli studi fatti dall'intelligenza artificiale e dalla vita artificiale, proprio per cercare di verificare quali parti della materia (organica ed inorganica) possano essere qualita' non simulabili computazionalmente ma necessarie per i processi tipici della coscienza.

 

>letteratura e saggistica si dovrebbero fondere in un grande libro e come mallarmè affermare attraverso l'opera che IL MONDO E' IL LIBRO.

>e mai come prima d'ora il mondo si avvicina verso quella zona di azzeramento che lacan aveva descritto così: QUANDO IL REALE SI APPROPRIA DEL SIMBOLICO DIVENTA TUTTO. e quanto il tutto diventa tutto scompare il livello minimo di lettura, quello parziale, quella zona grigia da cui l'umano comunica, anzi, l'unica da cui può continuare a comunicare.

 

Gli anni cinquanta e sessanta sono l'epoca del grigio. Wolf Vostell dichiara: arte=vita

Quine tra il nero e bianco delle verita' logiche individua una zona di sfumature grige. Se vogliamo ci possiamo anche mettere Lofti A. Zadeh con la logica fuzzy. Tre nomi che mi sono venuti in mente a caso e sicuramente minori rispetto a molto altro nei vari campi della cultura e della vita. Ora si puo' continuare a denunciare tali asserti, ma SOPRATTUTTO si deve creare le forme e trovare il modo per garantire che tali asserti vengano assimilati nell'organizzazione sociale e comunitaria. E' stato gia' detto molto, ora si tratta di rendere tali idee delle pratiche. Si tratta di costruire zone di attrazione che pratichino tali idee o risolvere le contradizioni sociali che ne impediscono l'attuazione. Fare questo e' fare arte.