INTRODUZIONE



''Un episodio minore della storia del Nuovo Mondo racconta di uomini che abbandonarono la sicurezza della terraferma per condurre una vita precaria su isole galleggianti.

Per rimanere fedeli ai loro desideri, costruirono
villaggi e citta', oppure misere dimore con un pugno di terra per orto, la' dove sembrava impossibile costruire e coltivare qualcosa: sull'acqua e nelle
correnti.

Erano uomini che, o per necessita' personali, o perche' costretti, sembravano destinati ad essere asociali e riuscirono a creare altri modelli di socialita'.

L'isola galleggiante e' l'incerto terreno che puo' perdersi sotto i piedi, ma che puo' permettere l'incontro, il superamento dei limiti personali.
Ma aldila' delle isole galleggianti che cosa esiste?
Esistono persone che abitano una nazione, una cultura.

E esistono persone che abitano il proprio corpo.

Sono i viaggiatori che attraversano il Paese
della Velocita', uno spazio e un tempo che non si confondono con il paesaggio e l'ora del luogo attraversato. Si puo' restare fisicamente per
mesi ed anni nello stesso posto, eppure essere un viaggiatore della velocita' che attraversa luoghi e culture distanti migliaia di anni e di chilometri, in sincronia con pensieri e reazioni di uomini lontani per pelle e per storia.

La velocita' e' una dimensione personale che non si lascia misurare con strumenti scientifici anche se la scienza e il progresso hanno origine da questa dimensione immisurabile"

Eugenio Barba




Questo lavoro vuole essere la metafora di un viaggio verso un’isola galleggiante, rappresentata dal territorio instabile e liminare di un determinato ambito dell’arte digitale interattiva italiana. Il viaggiatore è il nostro corpo-mente che si ritrova ad oltrepassare progressivamente le diverse soglie liminari della sua messa in scena performativa. Il filo conduttore del suddetto viaggio concettuale è infatti costituito dalla sperimentazione performativa attuata con il corpo all’interno di determinati contesti comunicativi ed espressivi, in cui acquistano particolare rilevanza le dinamiche di interazione, dialogo e scambio collettivo. In questo senso la funzione delle nuove tecnologie digitali è emblematica (ma non indispensabile), poiché queste permettono concretamente di operare la messa in scena del proprio corpo-mente attraverso la manipolazione e l’ibridazione dei codici comunicativi, che si connotano di una certa fisicità, seppur simulata.

E’ possibile vivere performance corporee non solo nell’ambito della messa in scena teatrale, o in quello di una rappresentazione cinematografica o televisiva, ma anche interagendo con l’interfaccia di un computer, con i touchpad di un’installazione interattiva, collegandosi agli ipertesti della Rete, divertendosi nella fruizione di un videogioco, immergendosi in un ambiente di Realtà Artificiale o Virtuale.

L’indivividuo, attraverso i media digitali, si trova ad agire direttamente sugli immaginari collettivi, sulle manifestazioni fantasmatiche della propria epoca, decostruendo e ricostruendo le proprie appartenenze socioculturali. Si approda ad una cultura della simulazione, dell’ibridazione, del sincretismo, in cui si costruisce il nuovo a partire dalla frammentazione e personalizzazione delle precedenti categorie interpretative del reale. Ma non solo: attraverso la sperimentazione performativa con i nuovi media, attuata in determinati contesti espressivi, si ha la possibilità (per tutti) di agire concretamente sul reale e non solo nella sua rappresentazione immaginaria, dando spazio ad istanze oppositive scardinatrici. E’ possibile così operare pratiche reali a partire dall’azione concreta, ma smaterializzata, di corpi virtuali. Pratiche trasformative che possano dare un senso critico e non semplicemente spettacolare all’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche. Quindi lo sguardo interpretativo della mia analisi va rivolto principalmente ai principi ispiratori di tali pratiche, che sono principi di scambio orizzontale, dialogico e interattivo, e non unicamente alla presenza delle nuove tecnologie con cui effettuare tali pratiche. La tecnologia qui vuole essere il mezzo e non il fine e il messaggio vuole essere lo scambio comunicativo e non il medium (ricordando la frase di McLuhan "il mezzo è il messaggio"). Le nuove tecnologie sono emblematiche perché amplificano tali processi di scambio, li rendono collettivi, alla portata di tutti e nello stesso tempo permettono di farli propri, di personalizzarli. In questo senso si differenziano dalle precedenti tecnologie generaliste, ma non le tradiscono del tutto: anche nei nuovi media ci si trova di fronte alla messa in scena performativa di un simulacro corporeo, una figura fantasmatica che rispecchia un certo immaginario (e questa è la continuità), solo che questa volta ci appartiene realmente, vive attraverso di noi e non è imposto dall’alto (e questa è la rottura). Di conseguenza la fase di passaggio che attualmente stiamo vivendo è quella che ci vede diventare protagonisti della costruzione dei codici culturali e sociali in cui la nostra società si rispecchia caleidoscopicamente. Da spettatori di immaginari fantasmatici si diviene attori di immaginari concreti, che possono essere vissuti personalmente attraverso esperienze psicomotorie immateriali. E questi immaginari vedono il nostro corpo instaurare uno stretto connubio con il mondo tecnologico, che ormai pervade gran parte della nostra vita quotidiana, facilitando l’inscenarsi di pratiche fluttuanti e ibridanti. L’individuo quindi opera una commistione con la tecnologia, versa sé stesso nelle derive digitali a seconda del proprio desiderio, perturbando il medium e lasciandosi perturbare da esso secondo un processo di feedback bidirezionale e dialogico. Ma il dialogo non avviene solo con la macchina: è possibile sfruttare le nuove tecnologie (ma anche quelle precedenti), per favorire il sorgere di scambi aperti fra gli individui, reti di relazioni rizomatiche fra di essi, processi coevolutivi nati dal basso, attraverso la messa in scena coperformativa dell’insieme corpo-mente di intere collettività. In questo senso, attraverso l’autogestione della tecnologia, autoproducendo spontaneamente i mezzi e i modi con cui comunicare, il fruire dei nuovi media diviene un’importante occasione per instaurare processi dialogici sempre aperti. Ed è proprio secondo questi principi che viene dato un senso al fare artistico dagli artisti di cui il mio lavoro tratta.

L’arte digitale interattiva italiana attualmente non comprende solo quest’"isola galleggiante", ma è caratterizzata da un più vasto arcipelago, senza confini, vista la possibilità che le nuove tecnologie offrono a tutti di sperimentare. La mia analisi però mette a fuoco l’obiettivo su di essa, poiché può essere paragonata ad un organismo impermanente e in divenire in cui si lavora principalmente per dare vita a contesti di dialogo, di interazione orizzontale e spontanea, in cui tutti possono sentirsi autorizzati a lasciare il proprio frammento creativo, autogestendo la propria fruizione dei media. Le opere di questi artisti, infatti, sono un’esempio di apertura, nodo non-terminale della rete di pratiche performative che va dalle avanguardie storiche alle neoavanguardie, dalle opere/evento di quest’ultime all’azione dei movimenti controculturali come il punk e il cyberpunk, fino ad approdare alle creazioni collettive e coevolutive in Rete. Nell’attività di tali artisti quindi l’opera d’arte, scivola nel processo di una smaterializzazione progressiva, passando dalla sua manifestazione oggettuale alla pratica di vita, dall’unicum originale al processo di scambio riproducibile e coevolutivo. In questo senso gli artisti diventano creatori di contesti di scambio, mentre gli spettatori diventano co-autori. E l’opera d’arte diviene un vuoto da colmare con la vita degli individui e con la loro capacità di improvvisare spontaneamente. L’artefatto oggettuale lascia quindi spazio al contenuto e alle dinamiche di scambio relazionali fra gli individui, che possono così vivere happening collettivi, mettere in scena pratiche co-performative.

Per maggior chiarezza, si possono ripercorrere brevemente in questa sede le tappe del viaggio verso questa particolare isola galleggiante dell’arte digitale interattiva italiana.

Attraverso le teorizzazioni di Victor Turner è possibile mettere a fuoco il concetto di performance, vista come pratica corporea necessaria ad una ridefinizione critica del reale. L’azione del nostro corpo-mente in contesti liminari durante fasi di ibridazione socio-culturale (come quella che stiamo vivendo), può contribuire a dare un senso critico alle progressive e accelerate trasformazioni socioculturali che investono attualmente la nostra quotidianità. Come in determinate pratiche teatrali è possibile elaborare il vissuto a partire dalla sperimentazione corporea, così nella vita quotidiana appellarsi alla spontanea improvvisazione creativa può facilitare la comprensione del presente e generare il nuovo ricomponendo i simboli culturali secondo modalità inedite.

Questo processo è ancor più evidente nella fruizione delle tecnologie digitali, che può divenire una fonte di esperienza sfruttando il carattere performativo di tali tecnologie. E’ possibile così, attraverso il virtuale, operare una metasperimantazione sulle nostre modalità di rapportarci al reale, riflettendo sul carattere di criticità che tali esperienze interattive possono presentare.

In questo senso, seguendo le ipotesi teoriche di Sherry Turkle, acquistano particolare importanza i dispositivi di interfaccia, emblema della nascente cultura della simulazione, attraverso cui l’individuo può concretamente mettere in scena il proprio corpo-mente e operare un dialogo perturbativo con i media e con gli altri individui coinvolti nel processo di comunicazione. Attraverso questa interazione dialogica, l’individuo si smaterializza in un simulacro corporeo, in un’entità fluttuante e immateriale, attraverso cui può manipolare determinati immaginari collettivi, e nello stesso tempo riconoscervisi a partire dalla sua azione personale. Da una parte quindi l’individuo si fonde con questi immaginari, estremizzando il processo di fantasmatizzazione tipico dei media generalisti, dall’altra li personalizza, autodeterminando il rapporto con i media stessi.

Gli immaginari in cui si fonde l’individuo e che rispecchiano i desideri-timori della sua società sono quelli evocati dalla fantascienza cyber e più precisamente dal movimento cyberpunk, che verrà analizzato a partire dalle origini fino alle sue concretizzazioni attuali. Nell’interazione con i nuovi media, infatti, il nostro corpo si fa mutante, ibridato, smaterializzato, artificiale, tecnologico. Si passa dai racconti degli scrittori di SF alle pratiche reali attuali, che vedono realmente la nostra individualità operare una commistione con la tecnologia (e lo si vedrà attraverso l’operato di particolari artisti "mutanti"). Nello stesso tempo, verrà considerato anche il carattere oppositivo e radicale di determinate pratiche cyber, che sono nate seguendo istanze di democratizzazione e di universalizzazione della tecnologia (e lo si vedrà attraverso il cyber-psichedelico e quello politico proprio degli hacker). Da qui si arriverà a considerare la dimensione presente del cyber, attraverso pratiche reali effettuate principalmente in Rete (la tutela dei cyber-rights, l’autodeterminazione identitaria, i netstrike, il cyberfemminismo). Chiaramente, secondo il filo conduttore originario, tutte queste pratiche reali in Rete, sfrutteranno il carattere performativo delle nuove tecnologie digitali, attraverso cui l’individuo può operare una personalizzazione dei vari contesti comunicativi attraverso il suo "fare".

Nella seconda parte, si comincerà a scorgere dall’alto l’arcipelago dell’arte digitale interattiva, evidenziando, anche in questo caso, il suo carattere performativo. Questo avverrà ripercorrendo tutti quei movimenti artistici che hanno fatto del gesto, dell’improvisazione, della pratica, il loro punto nodale, rimanendo fedeli all’equazione arte=vita.

Di conseguenza verranno considerate non solo le più "tradizionali" forme artistiche delle avanguardie storiche e delle neoavanguardie, ma anche le pratiche degli scrittori sui muri, della mail-art, del punk. Riguardo alle pratiche punk è prevista una sezione a parte, poiché esemplificazione concreta dei concetti di autogestione e di autoproduzione, punto di svolta da una concezione dell’arte come merce oggettuale a quella dell’arte come pratica collettiva orizzontale. Il soffermarsi sulle pratiche punk nella realtà italiana degli anni Ottanta permetterà di avvicinarsi sempre più al territorio (in divenire) occupato dagli artisti qui trattati. Prendendo come esempio le esperienze dei punk milanesi del Virus, del gruppo di Decoder, dei vari Centri Sociali Autogestiti, è possibile comprendere il passaggio dall’universo punk a quello cyberpunk nell’Italia underground di quegli anni. Ancora oggi determinate etiche vivono nelle patiche oppositive proprie della controcultura informatica e telematica in Italia (e fuori di essa) e in molti eventi collettivi messi in scena dagli artisti di cui il mio lavoro si occupa.

Dopo una panoramica sul concetto di arte interattiva, inteso principalmente come forma di scambio bidirezionale fra opera e fruitori e fra fruitori stessi, è possibile cominciare a percorrere i sentieri dell’isola galleggiante. E questo avviene attraverso le opere (e le interviste) di F.Bucalossi, M.Cittadini, i GMM (A.Glessi e A. Zingoni), C.Parrini, le PIGRECA (F.Alman e S.Reiff), sTRANO nETWORK, T.Tozzi e G.Verde.

Chiaramente la loro isola non va considerata chiusa in sè, ma è da pensarsi come un intreccio reticolare di sentieri che proseguono, come tanti link, anche su altre ipotetiche isole liberate.