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IV CAPITOLO

Controinchiesta

 

Come è morto Giuseppe Pinelli

    E' circa la mezzanotte di lunedì 15 dicembre 1969. Un uomo discende lentamente lo scalone principale della questura di Milano .Giunto nell'atrio dell'ingresso principale di via Fatebenefratelli si ferma un momento, accende una sigaretta. E' indeciso, non sa se uscire, andarsene a casa, oppure rimanere ancora qualche minuto, fare un ultimo giro negli uffici della Squadra mobile che stanno lì di fronte a lui? dall'altra parte del cortile. Sono giornate faticose queste per i cronisti milanesi e lui in particolare si sente stanco, avvilito: si sa già che nella mattinata è stato arrestato un anarchico di nome Valpreda; c'entrerà davvero con le bombe di Piazza Fontana? E poi nelle camere di sicurezza della questura, nelle stanze al quarto piano dell'ufficio politico ci sono ancora almeno un centinaio tra anarchici e giovani della sinistra extraparlamentare che da tre giorni, dal venerdì delle bombe, sono sottoposti a continui interrogatori.
    L'uomo, Aldo Palumbo, cronista dell'Unità di Milano, muove i primi passi per attraversare il cortile. E sente un tonfo, poi altri due, ed è un corpo che cade dall'alto, che batte sul primo cornicione del muro, rimbalza su quello sottostante e infine si schianta al suolo, per metà sul selciato del cortile, per metà sulla terra soffice dell'aiuola. Palumbo rimane paralizzato per qualche secondo al centro del cortile, poi si avvicina al corpo, ne distingue i contorni del viso. E subito gridando corre a dare l'allarme, agli agenti della squadra mobile, agli altri cronisti che sono rimasti in sala stampa quando lui è uscito.
    La mattina dopo tutti i quotidiani escono a grossi titoli con la notizia del suicidio di Giuseppe Pinelli. Di questi giornali, quelli che al momento dell'incidente avevano il loro cronista in questura, scrivono che il suicidio è avvenuto a mezzanotte e tre minuti. Nei giorni seguenti. stranamente questo particolare del tempo viene modificato: prima lo si corregge a giorni seguenti. stranamente questo particolare del tempo viene modificato: prima lo si corregge a "circa mezzanotte", poi lo si sposta ancora indietro, sino ad arrivare, a un tempo ufficiale: "Pinelli è morto alle ore undici e 57 minuti del lunedì notte 15 dicembre".
    Ai primi di febbraio, dall'inchiesta condotta dalla magistratura trapela un particolare: la chiamata fatta quella notte dalla questura al centralino telefonico dei vigili urbani per richiedere l'intervento di una autoambulanza è stata registrata da uno speciale apparecchio e quindi si può stabilire con certezza l'attimo esatto,che risulta essere mezzanotte e 58 secondi. Come dire due minuti e due secondi prima della caduta di Pinelli, se si sta al tempo segnalato da tutti i giornalisti che erano in questura quella notte. Si è trattato di una svista collettiva e abbastanza clamorosa, per gente abituata ad avere delle reazioni automatiche, professionali, quali il guardare per prima cosa l'orologio quando avviene un incidente del genere? E' un fatto però che nel frattempo sono successe due cose strane.
    Qualche giorno dopo la morte di Giuseppe Pinelli, due agenti della squadra politica della questura si sono presentati al centralino telefonico dei vigili urbani per controllare il momento esatto di registrazione della chiamata. Cosa significa questo zelo del tutto gratuito dato che è la magistratura, e non la polizia, che si occupa dell'inchiesta sulla morte di Pinelli? Perchè preoccuparsi tanto dell'orario di chiamata dell'autoambulanza se le cose si sono svolte così come sono state raccontate? La risposta potrebbe essere questa: la chiamata è stata fatta prima che Giuseppe Pinelli cadesse dalla finestra.
    Verso i primi di gennaio il giornalista Aldo Palumbo, la prima persona che si è avvicinata a Giuseppe Pinelli morente nel cortile della questura, trova la sua abitazione sottosopra. Qualcuno è entrato, ha rovistato dappertutto, ha aperto i cassetti, rovesciato mobili, frugato negli armadi. Ladri? Sarebbero dei ladri ben strani considerato che non rubano né le tredicimila lire che erano in una borsa, e che pure devono aver visto poichè la borsa è stata aperta, e neppure quei pochi gioielli nascosti in un'altra borsa, pure trovata aperta. Due quindi le ipotesi: o gli ignoti cercavano qualcosa, qualcosa collegato agli istanti in cui il giornalista fu vicino, e da solo, a Giuseppe Pinelli morente: oppure si è trattato di un avvertimento, un monito a tenere la bocca chiusa rivolto a chi, come Aldo Palumbo, poteva essere sospettato di sapere qualcosa, forse di avere sentito mormorare da Pinelli, un nome, una frase.
    Basterebbero questi primi, pochi elementi per formulare pesanti sospetti sulla versione dell'anarchico morto suicida. In realtà ce ne sono molti altri, e sono questi.
    Pinelli cadde letteralmente scivolando lungo il muro, tanto che rimbalza su ambedue gli stretti cornicioni Sottosanti la finestra dell'ufficio politico: non si è dato quindi nessun slancio.
    Cade senza un grido e i medici stabilirono che le sue mani non presentano segni di escoriazioni non ha avuto cioè nessuna reazione a livello di istinto, incontrollabile, nemmeno quella di portare le mani a proteggersi durante la "scivolata".
    La polizia fornisce nell'arco di un mese tre versioni contrastanti sulla meccanica del suicidio. La prima: quando Pinelli ha spalancato la finestra, abbiamo tentato di fermarlo ma senza riuscirci. La seconda: quando Pinelli ha spalancato la finestra, abbiamo tentato di fermarlo e ci siamo parzialmente riusciti, nel senso che ne abbiamo frenato lo slancio: come dire, ecco perchè è scivolato lungo il muro. Ma questa versione è stata resa a posteriori, dopo cioè che i giornali avevano fatto rilevare la stranezza della caduta. Infine l'ultima, la più credibile, fornita "in esclusiva" il 17 gennaio al Corriere della Sera: quando Pinelli ha spalancato la finestra, abbiamo tentato di fermarlo e uno dei sottufficiali presenti, il brigadiere Vito Panessa, con un balzo "cercò di afferrarlo e salvarlo; in mano gli rimase soltanto una scarpa del suicida". I giornalisti che sono accorsi nel cortile subito dopo l'allarme lanciato da Aldo Palumbo ricordano benissimo che l'anarchico aveva ambedue le scarpe ai piedi.
    Poi la polizia fornisce due versioni contrastanti anche sul movente del suicidio.
Primo: Pinelli era coinvolto negli attentati, il suo alibi per il pomeriggio del 12 dicembre era crollato e sentendosi ormai perduto ha scelto la soluzione estrema, gridando " è la fine dell'anarchia".
Seconda versione, fornita anche questa a posteriori, dopo che l'alibi era risultato assolutamente valido: Pinelli, innocente, bravo ragazzo, nessuno di noi riesce a spiegarsi i suo gesto. Dando questa seconda versione, la polizia afferma anche che la tragedia è esplosa nel corso di un interrogatorio che si svolgeva in un'atmosfera del tutto legittima, civile, e tranquilla, con scambio di sigarette e altre delicatezze del genere. (1) L'anarchico Pasquale Valilutti, uno dei tanti fermati che tra il venerdì delle bombe e il lunedì successivo hanno riempito le camere di sicurezza della questura, ha fornito invece questa testimonianza:
    "Domenica pomeriggio ho parlato con Pino (Pinelli) e con Eliane, e Pino mi ha detto che gli facevano difficoltà per il suo alibi, del quale si mostrava sicurissimo. Mi ha anche detto di sentirsi perseguitato da Calabresi e che aveva paura di perdere il posto alle ferrovie. Verso sera un funzionario si è arrabbiato perchè parlavo con gli altri e mi ha fatto mettere nella segreteria che è adiacente all'ufficio del Pagnozzi (un altro commissario, come Calabresi, dell'ufficio politico: n.d.r.): ho avuto occasione di cogliere alcuni brani degli ordini che Pagnozzi lasciava ai suoi inferiori per la notte. Dai brani colti posso affermare che ha detto di riservare al Pinelli un trattamento speciale, di non farlo dormire e di tenerlo sotto pressione per tutta la notte. Di notte il Pinelli è stato portato in un'altra stanza e la mattina mi ha detto di essere molto stanco, che non lo avevano fatto dormire e che continuavano a ripetergli che il suo alibi era falso. Mi è parso molto amareggiato. Siamo rimasti tutto il giorno nella stessa stanza, quella dei caffè, e abbiamo potuto scambiare solo alcune frasi, comunque molto significative. Io gli ho detto: " Pino, perchè ce l'hanno con noi? " e lui molto amareggiato mi ha detto: " Sì ce l'hanno con me ". Sempre nella serata di lunedì gli ho chiesto se avesse firmato dei verbali e lui mi ha risposto di no. Verso le otto è stato portato via e quando ho chiesto a una guardia dove fosse mi ha risposto che era andato a casa. Io pensavo che stesse per toccare a me di subire l'interrogatorio, certamente il più pesante di quelli avvenuti fino ad allora: avevo questa precisa impressione. Dopo un pò, verso le 11,30 ho sentito dei rumori sospetti, come di una rissa e ho pensato che Pinelli fosse ancora lì e che lo stessero picchiando. Dopo un pò di tempo c'è stato il cambio della guardia, cioè la sostituzione del piantone di turno fino a mezzanotte. Poco dopo ho sentito come delle sedie smosse ed ho visto gente che correva nel corridoio verso l'uscita, gridando "si è gettato". Alle mie domande hanno risposto che si era gettato il Pinelli: mi hanno anche detto che hanno cercato di trattenerlo ma che non vi sono riusciti. Calabresi mi ha detto che stavano parlando scherzosamente del Pietro Valpreda, facendomi chiaramente capire che era nella stanza nel momento in cui Pinelli cascò. Inoltre mi hanno detto che Pinelli era un delinquente, aveva le mani in pasta dappertutto e sapeva molte cose degli attentati del 25 aprile. Queste cose mi sono state dette da Panessa e Calabresi mentre altri poliziotti mi tenevano fermo su una sedia pochi minuti dopo il fatto di Pinelli. Specifico inoltre che dalla posizione in cui mi trovavo potevo vedere con chiarezza il pezzo di corridoio che Calabresi avrebbe dovuto necessariamente percorrere per recarsi nello studio del dottor Allegra e che nei minuti precedenti il fatto (cioè la stessa caduta di Pinelli: n.d.r.) Calabresi non è assolutamente passato per quel pezzo di corridoio (2).
    Dunque l'ultimo interrogatorio di Giuseppe Pinelli non è stato così tranquillo come si è cercato di far credere, ed è falso anche che al momento della caduta il commissario aggiunto Luigi Calabresi non fosse presente nella stanza. Ma perchè queste menzogne? La risposta può essere trovata in un articolo pubblicato dal settimanale Vie Nuove nelle settimane seguenti.
    "Quando l'anarchico fu trasportato nella sala di rianimazione dell'ospedale Fatebenefratelli non era in condizioni di coscienza. aveva un polso abbastanza buono ma il respiro molto insufficiente, il che poteva essere stato provocato da ragioni organiche (cioè il gran colpo dell'impatto col terreno o qualcos'altro) oppure psicologiche (cioè lo stato di tensione precedente la caduta: ma questa sembra un'eventualità meno valida). Il particolare che più stupì i due medici fu che il corpo, almeno a un esame superficiale, non presentava nessuna lesione esterna nè perdeva sangue dalle orecchie e dal naso, come avrebbe dovuto essere se Pinelli avesse battuto violentemente al suolo con la testa.
    "Una constatazione, questa, che fa sorgere subito un'altra domanda in chi non ha mai voluto credere alla versione del suicidio: se è vero, come sembra, che la necroscopia ha accertato una lesione bulbare all'altezza del collo, quale si sarebbe potuta produrre battendo al suolo con il capo, come mai orecchie e naso non sanguinavano nè il volto e la testa presentavano lesioni evidenti? Per logica si arriva quindi a una seconda domanda: non è possibile che quella lesione al collo fosse stata provocata prima della caduta? Come e da cosa, non ci vuole molta fantasia per immaginarlo: sono ormai molti anni che nelle nostre scuole di polizia si insegna quella antica arte giapponese di colpire col taglio della mano, nota come karatè.
    "Fossero stati interrogati, quei due medici (che hanno prestato cure a Pinelli morente, n.d.r.) avrebbero potuto raccontare un altro episodio. Quella notte del 16 dicembre, nell'atrio del Fatebenefratelli regnava una grande confusione. Si era trasferito lì tutto lo stato maggiore della polizia milanese, il questore Marcello Guida compreso. Ma la polizia era presente anche all'interno della sala di rianimazione dove i due medici cercavano invano di tenere in vita Giuseppe Pinelli. Tranquillo, silenzioso, non molto turbato dalla vista dell'operazione di intubazione orotracheale e di ventilazione col pallone di Ambù alla quale l'anarchico veniva sottoposto, un poliziotto in borghese, camicia e cravatta, baffetti neri e un distintivo all'occhiello della giacca, non si allontanò neppure per un attimo dal lettino dove Pinelli stava morendo, attento a raccogliere ogni suo rantolo (...) Chi gli ha dato l'ordine di entrare nella stanza compiendo un abuso di autorità che non è tollerato negli ospedali? e perchè è entrato, che cosa pensava o temeva che Pinelli potesse dire prima di morire?".
    I risultati dell'autopsia, dalla quale sono stati esclusi i periti di parte, non vengono resi noti. Di due medici - Gilberto Bottani e Nazareno Fiorenzano - che hanno tentato di salvare Giuseppe Pinelli, solo il secondo, e solo molte settimane più tardi,e solo dietro istanza dei legali della moglie dell'anarchico, viene interrogato dal procuratore Giuseppe Caizzi, il magistrato cui è affidata l'inchiesta che nel mese di maggio 1970 si concluderà con un sibillino verdetto di "morte accidentale" (non suicidio quindi, se la lingua italiana ha un senso. Ma allora la polizia ha mentito...). (3)
    Subito dopo che il dottor Nazareno Fiorenzano è stato interrogato, nel palazzo di Giustizia circola una voce secondo cui la polizia lo ha pesantemente "avvertito" che il caso Pinelli è un caso da archiviare, e che perciò è meglio che non si ponga troppi interrogativi. Ma cosa può aver notato o capito il medico di guardia davanti al corpo di Pinelli morente? La testimonianza che egli rilascia a un collega, prima di essere interrogato dal magistrato è questa:

"1) Gli infermieri che raccolsero Pino Pinelli ebbero l'impressione che fosse già morto.
2) Il massaggio cardiaco esterno gli fu praticato da un infermiere di nome Luciano.
3) Solo eccezionalmente - e per lo più nei vecchi con scheletro rigido - il massaggio cardiaco può produrre incrinature alle       costole.
4) Da quando fu raccolto e fino alla morte Pinelli non emise nè un lamento nè una parola.
5) Quando arrivò al pronto soccorso del Fatebenefratelli Pinelli non aveva polso, pressione e respirazione. Appariva decerebrato; ma il dr. Fiorenzano non ebbe l'impressione che la teca cranica fosse fratturata. Non perdeva sangue dagli occhi, dal naso e dalla bocca. Presentava un abrasione del cuoio capelluto come da colpo tangenziale. Presentava anche abrasioni alle gambe. Lesione bulbare? Mani intatte.
7) Pinelli fu intubato, sottoposto a ventilazione artificiale ed altre pratiche di rianimazione. Riebbe polso e pressione. Respiro periodico che confermerebbe lesione bulbare. Mancanza di riflessi, ecc. confermano che (parole testuali) "si trattava di un morto cui avevano ridato un pò di vita vegetativa". Rianimazione sospesa dopo 90'.
8) Il Dr. Guida arrivò tre minuti dopo Pinelli. Disse al Dr. Fiorenzano che doveva metterlo in condizioni di parlare perchè "fortemente indiziato". Quando il il Dr. Fiorenzano gli disse che non poteva fare nulla contro l'irreparabile, ebbe l'aria di scusarsi e se ne andò.
9) 11 Dr. Fiorenzano ignorava l'identita del ferito che non gli fu detta dai poliziotti. La sua insistenza per conoscerla irritò molto i poliziotti.
10) I poliziotti ripetevano, tutti con le stesse parole. che si era buttato dalla finestra. Sembrava che ripetessero una formula".

Anche a Milano serve un 22 marzo

    La versione suicidio risulta tanto più incredibile se si considerano le ragioni che avrebbero dovuto spingere Giuseppe Pinelli a uccidersi. Non esistono ragioni soggettive (capo manovratore alle Ferrovie. Pinelli era l'uomo sano, a posto fisicamente psicologicamente, con una vita familiare solida, ecc), nè tanto meno ragioni obiettive. Il suo alibi è autentico. e lui lo sa. Le minacce, i ricatti ai quali viene sottoposto per i primi due dei tre giorni che egli passa in questura, dal venerdì delle bombe al lunedì successivo, per Pinelli non sono una novità: è da settembre, dai giorni dello sciopero della fame organizzato in solidarietà con gli anarchici imprigionati per gli attentati del 25 aprile a Milano, che gli uomini della squadra politica lo perseguitano, cercano di intimidirlo con lo spettro del licenziamento dalle ferrovie, delle conseguenze che la sua militanza politica avrebbero provocata alla famiglia. E anche il tentativo finale, mezz'ora prima del "suicidio", di farlo sentire indirettamente coinvolto nella strage col dimostrargli che, come risulta dal suo libretto chilometrico di ferroviere, lui ha compiuto un viaggio a Roma nella notte tra l'8 e il 9 agosto e che pertanto può essere ritenuto uno degli autori degli attentati ai treni, anche questo tentativo non dà nessun risultato: Pinelli sa benissimo, come sa la polizia, come sanno tutti, che quelle sono state bombe di marca fascista.
    Eppure il tentativo viene fatto ugualmente, come ultimo ricatto per fargli confessare qualcosa. qualche nome, qualche circostanza che alla polizia, al commissario Luigi Calabresi preme molto: cioè quanto servirebbe a far scattare il medesimo meccanismo che a Roma in quelle ore si è già chiuso sul gruppo anarchico del 22 Marzo.
    L'equivalente milanese del 22 marzo (inteso come retroterra ambientale, politico e organizzativo nel quale sarebbe maturata la decisione di compiere gli attentati) nelle intenzioni degli inquirenti e rappresentato da un obiettivo molto più importante: qui non si tratta di quattro ragazzini anarchici, se il colpo riuscisse si arriverebbe a mettere le mani addosso a un personaggio e un ambiente di primo piano.
    Il personaggio è Giangiacomo Feltrinelli. editore di sinistra: discutibile sotto molti aspetti agli occhi della intelligenza marxista, tuttavia per gli avversari, per il sistema, rappresenta uno dei simboli più noti della contestazione e della rivolta, con le sue pericolose collane di libri e di opuscoli a buon mercato in cui si predica la guerriglia e il "creare due, tre, molti Vietnam", e si profetizza addirittura. nei giorni caldi del luglio 1969, "la minaccia incombente di un colpo di stato all'italiana", ovverossia "le ragioni e i modi con cui si tenterà di imporre un regime autoritario in Italia". Per gli avversari, per il sistema, poter dimostrare che Giangiacomo Feltrinelli è un estremista assassino di fatto, oltre che sui libri, significa non solo spazzare via un pericoloso e incomodo editore di sinistra ma anche vibrare un duro colpo ai seguaci non di Feltrinelli ma dei suoi libri.
    Poi Feltrinelli è un grosso pesce da far cadere nella rete per altri motivi. E' lui, infatti, che ha fornito un alibi ai suoi amici anarchici Giovanni e Eliane Corradini, incarcerati per gli attentati del 25 aprile. Quindi Feltrinelli porta ai Corradini, così come i Corradini portano agli anarchici. E la soluzione dell'equazione a questo punto è elementare: il "giro" Feltrinelli-Corradini-anarchici è responsabile delle bombe di aprile come lo è di quelle bombe di dicembre; o viceversa, come si preferisce.
    Già il 18 dicembre, durante la conferenza stampa del questore di Milano, il nome di Feltrinelli viene indicato tra i "possibili responsabili". Il 19 viene perquisito il suo studio per ordine del giudice Antonio Amati (lo stesso che in aprile ha mandato in galera gli anarchici), e il motivo ufficiale è la ricerca di un volantino simile a quello rinvenuto nei pressi della bomba esplosa il 1° aprile e che dovrebbe trovarsi adesso negli archivi della casa editrice di via Andegari. Il Corriere della Sera riporta in prima pagina la notizia della perquisizione, scrive che il nome di Feltrinelli, sussurrato nei giorni precedenti, entra ora nell'orbita dell'inchiesta, e che la polizia. già poche ore dopo la strage di Piazza Fontana, aveva richiesto alla procura l'autorizzazione "negata" a perquisire il suo studio. Da quel momento i giornalisti borghesi, con alla testa La Notte di Pesenti, e quelli della catena del petroliere Monti, scatenano una campagna di stampa che senza mezzi termini crea la figura dell'editore dinamitardo. Si parla esplicitamente di Feltrinelli come del finanziatore dei gruppi anarchici. Ma Feltrinelli non c'è: è all'estero già da molti giorni, da prima che il ministero degli Interni ordinasse il ritiro del suo passaporto.
    Altri giornalisti, più o meno in buona fede, raccolgono e fanno circolare una nuova versione, pericolosa quanto sottile che viene suggerita direttamente dalla polizia: non si può dire che Feltrinelli sia il mandante: in realtà è successo che lui, impulsivo e sprovveduto. aveva organizzato un certo traffico di esplosivo destinato alla Resistenza greca, esplosivo che qualcuno è riuscito invece, con un tranello, a far dirottare verso piazza Fontana. Tuttavia questa ennesima provocazione, almeno questa, non riesce.

Perchè è morto Giuseppe Pinelli

    Per l'obiettivo di fornire anche a Milano una "organizzazione" equivalente a quella romana del circolo 22 Marzo, Giuseppe Pinelli è destinato a svolgere un ruolo molto importante durante l'ultimo interrogatorio che si svolge nell'ufficio al quarto piano del commissario aggiunto Luigi Calabresi.
    Il "giro" Feltrinelli-Corradini-anarchici è stato prescelto e "il Pino" deve servire a incastrarlo. Se dirà quello che si aspettano da lui, il successo dell'operazione è assicurato. Pinelli sarà un teste credibilissimo per la sua insospettabilità, per il rifiuto della violenza che ha sempre manifestato, perchè è un personaggio autorevole tra gli anarchici. E' perciò il personaggio che ci vuole per realizzare la fase conclusiva della manovra, i cui momenti precedenti sono stati:

  1. nel gruppo prescelto si sono tenuti certi discorsi, si è parlato di armi, di guerriglia, di come opporsi a tentativi di colpo di Stato, ecc. (tutti argomenti che ormai vengono trattati anche nei salotti della borghesia progressista ma non importa; quel che conta, ai fini della complessa manovra, è che tali argomenti siano stati trattati anche in quel gruppo prescelto, perchè ciò è pregiudiziale;

  2. nel gruppo si sono infiltrati dei provocatori-inforrnatori che hanno soffiato sul fuoco, hanno estremizzato al massimo il discorso, hanno proposto la necessità di passare dalla teoria alla pratica, ecc.;

  3. nel frattempo sono stati commessi degli attentati la cui firma è stata resa simile a quella che avrebbe lasciato tale gruppo se mai li avesse commessi, e per questo l'opinione pubblica è già predisposta ad accettarlo come quello dinamitardo per eccellenza.
    A questo punto manca solo l'avallo di Giuseppe Pinelli. "Il Pino" è ritenuto un emotivo che si può facilmente terrorizzare, e un ingenuo che si può facilmente ingannare. L'interrogatorio si svolge secondo questo schema:

  1. intimidazione ("il tuo alibi per il pomeriggio del 12 è caduto");

  2. il tentativo di fiaccare la sua resistenza fisica e psichica (non lo lasciano nemmeno dormire, lo tengono costantemente "sotto pressione";

  3. il tentativo di impaurirlo facendogli balenare la possibilità di essere coinvolto tra gli autori della strage.

    Ma gli alibi reggono, la resistenza psico-fisica del Pino anche. Allora la musica deve cambiare, si passa all'interrogatorio pesante, quello coi "rumori di sedie smosse, come di una rissa", e gli vengono contestati fatti, nomi, circostanze precise. Ma un interrogatorio di questo tipo è una specie di boomerang, per chiedere bisogna per forza dire e il Pino, che ascolta attentamente prima di rispondere, improvvisamente intuisce qualcosa. Intuisce che si sta cercando di farlo cadere in una trappola, intuisce anche, grazie proprio a quei nomi e a quelle circostanze che gli stanno contestando, la funzione di provocatore svolta da qualcuno che si è infiltrato nel gruppo, coglie il legame che intercorre tra il provocatore e qualcuno degli uomini che lo stanno interrogando. E invece di tacere, invece di guadagnare tempo. emotivamente parla, indignato minaccia, e chiede che certi nomi, certe sue affermazioni vengano messe a verbale.
    Fra chi lo interroga, non tutti hanno capito quello che Pinelli ha capito. Ma un paio di persone certamente sì. E allora parte, fra i tanti quel colpo decisivo che fa stramazzare Pinelli sulla sedia, gli fa perdere conoscenza. Pinelli sta male (si chiama in quel momento l'autombulanza?) Pinelli ha bisogno d'aria. Bisogna avvicinarlo alla finestra, appoggiare il suo corpo inanimato alla sbarra di ferro trasversale, bassa. Troppo bassa, non trattiene il Pino, il Pino scivola giù nel vuoto.
    Una disgrazia. Un malore prima e la disgrazia poi. Questa all'incirca la versione che uno dei cinque presenti nella stanza (il commissario Luigi Calabresi, i brigadieri Panessa, Mucilli, Mainardi, il tenente dei carabinieri Sahino Lograno) (4) fornirà poi a un suo superiore. Questa versione, attraverso un lungo giro, giunge anche a chi sta conducendo questa controinchiesta. E sarebbe credibile, forse, se non vi fosse quella lesione bulbare nel collo di Pinelli, se non vi fosse la sua totale mancanza di riflessi durante la "scivolata" lungo il muro, indizio evidente che non si trattava di un uomo colto da malore ma di un uomo inanimato.
    Tuttavia credibile, forse, per chi era in quella stanza e non ha saputo distinguere il colpo fatale vibrato sul collo del Pino, e non ha capito perchè quel colpo è stato vibrato e perchè il Pino doveva cadere dalla finestra.

Polizia e Magistratura parallele

    Per giustificare il "suicidio", il questore di Milano afferma nella conferenza stampa tenuta quella notte stessa che il gesto compiuto da Giuseppe Pinelli equivale a una "autoaccusa". Infatti gli anarchici sono i colpevoli degli attentati. Pinelli è un anarchico e quindi, per sillogismo, è colpevole anche lui.
    Molto prima del questore Marcello Guida la stessa certezza era stata espressa dal commissario Luigi Calabresi il quale, a poche ore dalla strage, ha dichiarato che essa è "opera degli anarchici". Idem un magistrato, il capo dell'ufficio istruzione Antonio Amati: in piazza Fontana non erano ancora arrivate le prime ambulanze ed egli consigliava già alla polizia di "iniziare subito le ricerche negli ambienti anarchici".
    Così la polizia, così la magistratura, Ma sarebbe più esatto dire: così una polizia, così una magistratura. Infatti se mai ha avuto un senso parlare di polizie e magistrature parallele, qui ci sono alcuni esempi.
    Il procuratore della Repubblica di Milano, Ugo Paolillo, cui spetterebbe di condurre l'inchiesta perchè è il procuratore di turno nel pomeriggio del 12 dicembre, non sembra d'accordo con la tesi degli "attentati di sinistra". Sin dalle prime ore l'onesto magistrato protesta duramente contro la polizia che procede alle retate negli ambienti anarchici e della sinistra extraparlamentare, ammonendo che, qualora non fossero state rispettate le regole formali dei fermi (quello di Giuseppe Pinelli è un esempio macroscopico di violazione: viene trattenuto per tre giorni e tre notti in questura senza che il suo fermo venga notificato al palazzo di Giustizia), egli avrebbe sconfessato il comportamento della polizia. (Un altro esempio clamoroso di questa frattura che inizialmente esiste tra la questura e certi magistrati, è quello dell'anarchico Leonardo Claps che, arrestato dalla polizia, viene rimesso in libertà per ordine del procuratore della Repubblica, arrestato di nuovo è di nuovo scarcerato: e così via).
    Quando ancora l'inchiesta è affidata alla magistratura milanese e al procuratore Ugo Paolillo in particolare. da Roma giunge il pubblico ministero Vittorio Occorsio (5) che, "per ordini superiori" e scavalcando di fatto Paolillo, procede ad alcuni interrogatori degli anarchici rinchiusi a San Vittore. Al magistrato milanese frattanto i superiori hanno affiancato un nuovo verbalizzatore, che ha ricevuto l'ordine di essere sempre presente agli interrogatori.
    Verso la fine di dicembre l'inchiesta viene trasferita da Milano a Roma, in sede più vicina al potere politico centrale. Ugo Paolillo ritiene però doveroso continuare le indagini che ha iniziato e che lo stanno portando a battere piste decisamente di destra, e in particolare quella che dimostra come almeno un provocatore si sia infiltrato negli ambienti anarchici milanesi per svolgere lo stesso ruolo di Mario Merlino nel circolo 22 Marzo. Due sottufficiali dei carabinieri, forse agenti del SID, aiutano il procuratore nel suo lavoro. Sino a quando, improvvisamente, uno dei due viene posto in pensione, I'altro trasferito a La Spezia. Da quel momento su Ugo Paolillo, magistrato che non crede alle versioni precostituite, cala il sipario.
    La stessa cosa succede all'interno della polizia. Di fianco, parallelamente al commissario Luigi Calabresi che punta diritto sulla colpevolezza degli anarchici. vi è il dirigente dell'ufficio politico Antonio Allegra che sembra avere qualche dubbio. Ai fermati delle prime ore egli chiede insistentemente notizie di U.R. che risulta collegato ai fascisti del MAR della Valtellina, e di Antonio Sottosanti, detto Nino il fascista. Sottosanti è un ex legionario, ex segretario della sezione milanese della pacciardiana Nuova Repubblica, molto legato a tutte le organizzazioni dell'estrema destra extraparlamentare. Nell'ultimo anno gli era riuscito ad infilarsi tra gli anarchici milanesi del Ponte della Ghisolfa ed era entrato in contatto anche con Giuseppe Pinelli che gli conserva i soldi della "Crocenera" (6) da recapitare in carcere a Tito Pulsinelli, anarchico e amico personale del Sottosanti. Contemporaneamente però manteneva i contatti con i fascisti e avvicinava ex capi partigiani proponendo loro incontri con Pacciardi. Ai primi di gennaio Antonio Allegra sta ancora battendo questa pista ed il giorno 11 parte da Milano in gran segreto per andare a interrogare Nino il fascista in Sicilia, dove si è trasferito all'indomani della strage. L'interrogatorio si svolge nella questura di  Enna ma a fare domande non è il solo Allegra: con lui è arrivato da Milano anche il brigadiere Vito Panessa, uno dei fedelissimi di Luigi Calabresi che ha partecipato all'ultimo interrogatorio di Giuseppe Pinelli. In quella stanza della questura di Enna, la situazione è paradossale, se non altro da un punto di vista dell'ordine gerarchico: a verbalizzare c'è un maresciallo, a porre domande il capo dell'ufficio politico milanese, ma chi di fatto gestisce l'interrogatorio, scavalcando continuamente Allegra, è il brigadiere Vito Panessa.

Le nuove accuse contro Pietro Valpreda

    La morte di Giuseppe Pinelli è un imprevisto che fa scricchiolare paurosamente tutta l'impalcatura delle accuse che si stanno costruendo addosso a Pietro Valpreda e gli anarchici del 22 Marzo.Un suicidio così non è incredibile, ma non credere nel suicidio vuol dire che la polizia ha mentito, e se ha mentito in questa occasione perchè non dovrebbe aver mentito anche in altre? Tutta l'inchiesta rischia di rimanere coinvolta, di non apparire più attendibile di fronte all'opinione pubblica. Inoltre, la testimonianza del taxista Cornelio Rolandi che ha inchiodato Pietro Valpreda dicendo che si tratta dell'uomo.con la borsa nera che egli ha trasportato in piazza Fontana mezz'ora prima della strage, non basta più. Rolandi ha affermato, e la frase risulta dal verbale, che il questore di Milano gli ha mostrato una unica fotografia e gli ha detto che quello era l'uomo che "doveva" riconoscere.
    Perciò bisogna correre in fretta ai ripari. A distanza di 88 giorni, la polizia milanese consegna al magistrato un vetrino giallo-verde, del tutto simile a quelli usati da Pietro Valpreda per costruire le lampade tiffany. Secondo la polizia il vetrino è stato trovato nella borsa che conteneva la seconda bomba di Milano, quella della banca di piazza della Scala che non è esplosa. Prima di allora, chi aveva avuto occasione di verificare il contenuto della borsa (come il direttore della banca, il perito balistico Teonesto Cerri, I'anarchico Sergio Ardau ) (7) non si era accorto dell'esistenza di tale vetrino che costituisce - scrivono trionfalmente i giornali di destra - la firma inequivocabile lasciata dal disattento Pietro Valpreda.
    Poi, a metà febbraio, ecco che spuntano i famosi "testi romani" le persone cioè che sostengono che il sabato o la domenica dopo la strage Pietro Valpreda era a Roma e non a Milano, come invece hanno sempre sostenuto la zia Rachele Torri, la nonna Olimpia, la madre, la sorella e un'amica d'infanzia di Pietro.
    Per l'accusa i testi romani rappresentano una importante "prova psicologica" perchè se Valpreda ha mentito sui due giorni successivi. deve per forza avere mentito anche sul venerdì della strage: non a letto malato in casa della zia Rachele, quel pomeriggio del 12 dicembre, ma in giro per Milano col suo carico mortale da depositare nell'atrio centrale della Banca Nazionale dell'Agricoltura.
    Ma sono davvero credibili i testimoni romani?

A proposito della testimonianza della soubrette Ermanna Ughetto, in arte Ermanna River

    Il 28 gennaio 1970 il settimanale Gente, sotto il titolo "Le amiche raccontano la vita amorosa di Valpreda", pubblica un'intervista con l'Ermanna Ughetto nella quale la ragazza, che ha avuto con l'anarchico un breve flirt durante l`estate, afferma di averlo incontrato l'ultima volta "una ventina di giorni prima" della strage di piazza Fontana. Valpreda l'aveva aspettata al termine dello spettacolo del cinema varietà Ambra-Jovinelli, I'aveva accompagnata prima in trattoria e poi sino alla porta della pensione dove inutilmente le aveva chiesto di poter passare la notte con lei.
    E' lo stesso episodio che Ermanna Ughetto, due settimane più tardi, riferisce al magistrato. Ma stavolta con la data spostata: non più "una ventina di giorni prima" della strage, ma all'indomani di essa, la sera del 13 o 14 dicembre, lei si è incontrata con Valpreda.
    La mascherina del cinema-varietà Letizia Bollanti, sostiene che l'incontro tra Pietro Valpreda e Ermanna Ughetto è avvenuto verso gli ultimi giorni di novembre ma il magistrato non le dà retta. E lo stesso sostengono i camerieri della trattoria Ciarla, dove Valpreda e la soubrette hanno cenato: ma non risulta che siano stati interrogati dal giudice istruttore.

A proposito della testimonianza di Gianni Sampieri. attore comico disoccupato

    Gianni Sampieri, vecchio attore senza lavoro, monarchico (il padre recitò una volta in presenza di sua maestà), passa le sue giornate nel bar accanto al cinema-varietà. Dal verbale risulta che la sera di sabato 13 è seduto nella trattoria Ancora. vicino al Cinema Jovinelli. Entra Valpreda con un giovane (dalla descrizione risulta essere l'anarchico Angelo Fascetti). Valpreda ha un occhio gonfio: ci scherzano sopra. Parlano un pò: Valpreda gli dice che tra qualche giorno partirà per Milano, dove spera di trovare lavoro. Poi escono insieme, lui, Valpreda, e il giovane, e vanno nel bar vicino, all'angolo di via Turati.
    Ma Gorizia Palluzzi, proprietaria della trattoria Ancora, che conosce Valpreda da sei anni, ricorda perfettamente che l'anarchico è entrato nel suo locale per l'ultima volta il 3 o 4 dicembre.in compagnia di un certo Angelino, cioè Angelo Fascetti. E il suo racconto concorda perfettamente con quanto Valpreda ha dichiarato durante uno dei primi interrogatori. La donna per quattro volte ha ripetuto la sua testimonianza al giudice ma non è stata creduta.
    Anche il cameriere dell'Ancora (il quale però non risulta sia stato interrogato dal giudice istruttore) conferma di avere visto I'anarchico solo una diecina di giorni prima degli attentati, seduto al tavolo del comico Sampieri.

A proposito della testimonianza di Benito Bianchi, macchinista teatrale

"Era domenica 14 dicembre. Lo ricordo perchè ero stato a Firenze a vedere Fiorentina-Roma. Valpreda entrò nel bar assieme al comico Sampieri e a un suo amico. Ci fermammo un pò a chiacchierare di sport e controllammo i risultati del totocalcio. Poi ci salutammo". Questo dichiara Benito Bianchi, un teste giudicato insospettabile dall'accusa perchè è iscritto al PCI.
    Eppure Leo Rossellini, un avventore del bar che secondo Benito Bianchi è stato presente al colloquio con Valpreda, interrogato dal magistrato ha smentito la circostanza. Lo stesso fa Angelo Fascetti, l'amico anarchico di Valpreda. Non appena legge le dichiarazioni dei testi romani, Fascetti chiede di essere ricevuto dal giudice istruttore Cudillo. Gli dice che il loro incontro, prima col comico Sampieri, poi con Benito Bianchi, risale a molti giorni prima del 14 dicembre A quando cioè Pietro Valpreda aveva ancora l'occhio nero, provocato durante una rissa avvenuta verso la metà di novembre nella trattoria Mariòs di Trastevere. Il livido ai primi di dicembre era sparito completamente. Inoltre la partita di calcio di cui avevano discusso non era Fiorentina-Roma bensì Inter-Lazio, giocata il 30 novembre. Ma il giudice Cudillo licenzia Angelo Fascetti senza far mettere a verbale le sue dichiarazioni.

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A proposito di queste testimonianze (e dei testimoni), si veda inoltre, in appendice, la lettera di Valpreda fatta uscire clandestinamente dal carcere di Regina Coeli.

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La spia del 22 Marzo

    Chi, per assurdo, ritenesse Pietro Valpreda e gli anarchici del 22 Marzo colpevoli degli attentati, dovrebbe concludere logicamente che con loro è responsabile la polizia romana, dato che essa è sempre stata minuziosamente informata da una spia circa le attività degli anarchici.
    La presenza di questa spia nel circolo di via del Governo Vecchio è stata, dopo lunga reticenza, ammessa ufficialmente dai funzionari dell'ufficio politico, i quali tuttavia si sono ancora per molto tempo rifiutati di rivelarne il nome allo stesso magistrato sebbene ciò non fosse consentito dalla legge (la norma "protezionistica" introdotta da Scelba per cautelare i confidenti non era applicabile in questo caso giacchè non è estesa ai poliziotti in servizio). E a quanti avanzano l'obiezione di cui sopra, e cioè che la polizia doveva essere stata informata dalla sua spia di quanto gli anarchici andavano architettando, si è dapprima risposto che ciò era impossibile dal momento che la spia aveva cessato di frequentare il circolo dal mese di settembre. Poi si dice che Andrea non potè sapere delle bombe perchè negli ultimi tempi gli anarchici non si fidavano più di lui e lo lasciavano in disparte.
    Ma tutto ciòè falso.
    La spia si chiama Salvatore Ippolito, calabrese, sedicente studente, in realtà agente scelto di P.S., con residenza a Genova ma da tempo domiciliato a Roma presso una pensione. Si introduce tra gli anarchici del Bakunin nell'aprile 1969. Nel mese di settembre Salvatore Ippolito, che si fa chiamare Andrea il genovese.ha lasciato la pensione ma continua a frequentare assiduamente il 22 Marzo fino al 14 dicembre. Questo può essere provato da diverse testimonianze dirette e indirette (queste costituite dal fatto che agli anarchici continuamente fermati in quel periodo venivano contestate delle frasi, precise alla lettera, che essi avevano pronunciato durante le loro riunioni: tanto precise che più volte il circolo fu messo sottosopra alla ricerca di eventuali microfoni installati dalla polizia). Tra le testimonianze dirette vale la pena di citarne almeno una: "Verso le ore 22 di martedì 9 dicembre, tre giorni prima degli attentati, Pietro Valpreda, Emilio Bagnoli, Emilio Borghese e altri anarchici del 22 Marzo si incontrano con alcuni studenti di un collettivo romano che stanno preparando un libro bianco sulla repressione in Italia. Tra gli anarchici c'è anche Andrea il genovese, alias Salvatore Ippolito, spia della polizia".
    Questa testimonianza (come innumerevoli altre) smentisce recisamente sia l'una che l'altra delle giustificazioni che si è preteso di dare al fatto che la spia del 22 Marzo nulla seppe e nulla riferì delle bombe che stavano per scoppiare.
    "Andrea" infatti era sempre insieme a Valpreda e ai suoi compagni e ancora nel pomeriggio dell'11 dicembre si trovava nella sede del 22 Marzo, in via del Governo Vecchio, quando a Macoratti - recatovisi dopo le 17,30 per vedere Valpreda - Bagnoli disse che il Pietro era appena andato via, in partenza per Milano.

Il ruolo di Mario Merlino nell'inchiesta

    La notte del sabato dopo gli attentati, I'anarchico Enrico Di Cola viene interrogato nella questura di Roma. Gli chiedono di denunciare Pietro Valpreda "perchè a loro serve un responsabile per la strage di Milano". Di Cola rifiuta. Insistono, prima offrendogli dei soldi poi minacciandolo. Un sottufficiale gli passa davanti alla faccia un tagliacarte d'acciaio e un altro, mentre il funzionario che conclude l'interrogatorio è uscito dalla stanza, dice all'anarchico: "Guarda che possiamo farti fuori quando e come vogliamo. Tanto fuori di qui non sapranno mai come sei morto...".
    Qualche giorno dopo Enrico Di Cola viene rilasciato. Poi ci ripensano, lo vogliono arrestare di nuovo ma Di Cola riesce a far perdere le proprie tracce e sino ad oggi è rimasto latitante.
    Uno che invece non fa difficoltà a riferire circostanze che si tramutano immediatamente in atti di accusa contro Valpreda e i suoi compagni del 22 Marzo, è Mario Merlino. E' stato fermato come gli altri verso le sette di sera del venerdì, appena un'ora e mezzo dopo l'esplosione dell'ultima bomba romana all'Altare della Patria. Siccome il primo alibi ("ero a casa mia") non è stato confermato dalla madre, Merlino ne ha fornito un altro: "Avevo un appuntamento alle ore 17 in casa della signora Minetti in via Tuscolana 552 con il mio amico Stefano Delle Chiaie. Non lo trovai. Restai con i figli della Minetti, Riccardo e Claudio...".
    Merlino comincia a denunciare gli anarchici già nel secondo interrogatorio di sabato mattina: "Il 28 novembre, a Santa Maria Maggiore, durante il concentramento degli studenti, Roberto Mander mi chiese di procurargli dell'esplosivo". "Il 10 o 11 c.m. incontrai Mander in via Cavour. alle ore 20. Ci confermò quello che mi aveva detto Borghese e cioè che tenevano un deposito d'armi e munizioni sulla via Casilina..." (non e mai stato trovato n.d.a.). "Stamane in questura quando ho visto Mander e gli ho detto che il Commissario mi aveva contestato l'esistenza del deposito (invece è stato Merlino a parlarne col commissario, n.d.a.), egli ha esclamato "Sanno anche questo" "Il Borghese mi riferì del deposito al 22 Marzo il 9 o l0 dicembre. Pensai che volesse farmi unire a lui ed agli altri per qualche azione. Io gli dissi che non mi sembrava il caso di parlare di queste cose".
    Nel terzo interrogatorio del 19 dicembre. Mario Merlino fa notare al pubblico ministero Vittorio Occorsio che il motto di Valpreda era "bombe sangue anarchia". Poi, suggerisce che "forse la conferenza al 22 Marzo (alla quale hanno partecipato gli altri imputati romani. e che costituisce il loro alibi per il pomeriggio del 12 dicembre, n.d.r.) fu fatta per avere una copertura per gli attentati".
    Il 9 gennaio. quando v iene interrogato dal giudice istruttore Erneslo Cudillo, Merlino è costretto ad ammettere di avere partecipato al famoso viaggio in Grecia. Però, spiega "ci andai perchè era gratuito, nonostante non avessi mai svolto propaganda a favore dei colonnelli", e precisa che "non ci furono conferenze e non fummo ricevuti da personalità" (ma l'incontro dei fascisti italiani con il ministro Patakòs è documentato in una serie di fotografie).
    Da quel giorno di gennaio Mario Merlino non è più stato interrogato. Eppure se solo il magistrato avesse insistito di più, magari prendendo lo spunto dalle due curiose circostanze di un anarchico che va in visita ufficiale nella Grecia dei colonnelli e che si fa fornire un alibi dai figli di una donna, Leda Minetti, che da dieci anni è l'amica del più noto boss del neofascismo romano Stefano Delle Chiaie, avrebbe potuto ricostruire facilmente il personaggio Mario Merlino, così come è stato fatto nelle pagine precedenti di questo libro. E partendo da lui, da questo Merlino fascista infiltrato fra gli anarchici, il giudice avrebbe anche potuto delineare questi profili di fascisti, per accorgersi che si tratta di tante tessere di un mosaico al cui centro si trova la strage del 12 dicembre 1969.

Chi è Paolo Pecoriello

    Paolo Pecoriello, 25 anni. Nel 1964 partecipa al "Convegno romano della gioventù nazionale" come delegato, assieme a Mario Merlino, della sezione del MSI  Istria e Dalmazia. Diventa un militante dell'Avanguardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie ed è sempre in prima fila nelle più importanti azioni squadristiche. Nel 1965, con il finanziamento dei Comitati Civici, organizza una squadra che imbratta i muri delle chiese di Terni con falci e martello e scritte blasfeme (8). Partecipa, nella primavera 1968, al viaggio premio nella Grecia dei colonnelli. L'8 agosto 1968 si trasferisce da Roma, dove è stato ospite del convento dei padri Serviti di Santa Maria, a Reggio Emilia, dove è di nuovo ospite dei padri Serviti nel loro convento della Ghiara retto da padre Gabriele Rocca noto perchè ogni anno celebra messe in suffragio di Mussolini e dei caduti della Repubblica di Salò.
    A Reggio Paolo Pecoriello è ufficialmente impiegato negli uffici del Commissariato della Gioventù  Italiana; in realtà ha il compito di"fare opera di agitazione politica", come dichiarerà lui stesso in un verbale di polizia. Ai primi di settembre fonda una sezione di Avanguardia Nazionale. In tutta la città compaiono svastiche e rune, accompagnate da scritte "Viva l'esercito". L'onorevole Franco Boiardi del PSIUP e il professor Corrado Corghi della sinistra cattolica vengono aggrediti e malmenati dai fascisti di Avanguardia Nazionale.
    Il 14 novembre Pecoriello e Graziano Zannoni, dell'organizzazione clandestina fascista dei Figli del Sole, incendiano la libreria Rinascita di Reggio: la benzina, 15 litri, è stata consegnata da padre Paolo Bagnacani, amministratore del convento della Ghiara. Arrestati e processati, i due sono condannati a quattro mesi con la condizionale. Allontanato dal convento Paolo Pecoriello viene ospitato nel pensionato Artigianelli in via don Zefferino Jodi, di proprietà delle ACLI reggiane. Licenziato dalla Gioventù Italiana, trova lavoro presso la ditta di lampadari Righi di Villa Rivalta.
    Nel maggio '69 organizza la sezione reggiana dei GAN (via dell'Abadessa), i Gruppi di Azione Nazionale promossi dal direttore del settimanale fascista Il Borghese, Mario Tedeschi, e dal senatore missino Gastone Nencioni. (9). Nel luglio è tra gli organizzatori di un campeggio paramilitare a Cervarezza, sull'Appenino Reggiano. L'iniziativa è stata decisa in una serie di riunioni che si sono svolte a Rimini agli inizi dell'estate. I fondi necessari, 3 milioni di lire, sono forniti da alcuni industriali zuccherieri di Ravenna. La federazione comunista di Rimini, venuta a conoscenza del fatto, provoca un'interpellanza alla Camera dei deputati e i carabinieri intervengono per vietare il campeggio a soli quattro giorni dal suo inizio.
    Gli abitanti del paese di Busana, vicino a Cervarezza, hanno sentito echeggiare colpi e raffiche di armi automatiche ma non risulta che i carabinieri ne abbiano sequestrate o abbiano svolto indagini.
    Nell'autunno Paolo Pecoriello, assieme a un fascista di Reggio, Maurizio Faieti, fonda il Movimento nazionalproletario Corridoni che diffonde davanti alle fabbriche volantini di contenuto vagamente anarco-sindacalista. Nello stesso periodo Pecoriello cerca di prendere contatti con l'Unione dei Comunisti Italiani marxisti-lenisti ma viene respinto.
    In novembre, nella sede dei GAN in via dell'Abbadessa, partecipa a un incontro tra fascisti locali e il presidente del Fronte Nazionale, Junio Valerio Borghese (un secondo incontro avverrà alla fine di gennaio 1970). Pecoriello si vanta in pubblico di avere ottimi rapporti con il commissario Saviano della questura di Reggio, al quale si rivolge dandogli del tu.
    Un giorno di fine gennaio '70, Pecoriello smarrisce in un bar di Reggio un opuscolo dal titolo "La giustizia è come il timone: dove la si gira, va" firmato Fronte Popolare Rivoluzionario. (10) L'opuscolo, diffuso clandestinamente in un migliaio di copie, è stato pubblicato dall'editore-libraio di Treviso Gianni Ventura (autore anche della rivista nazista Reazione. Il frontespizio suonava così "Per una visione del Mondo che s'ispiri ai principi aristocratici dell'Autorità dell'Onore della Gerarchia della Fedeltà: questi sono i termini della lotta reazionaria e nazionale-rivoluzionaria). Nel febbraio 1970 l'editore Ventura è stato denunciato da un suo amico come finanziatore, assieme ad altre due persone, degli attentati dinamitardi avvenuti sui treni nel mese di agosto e per aver affermato che davanti alle bombe del 12 dicembre si è "tirato indietro, preoccupato per la strage che avrebbero provocato". (11)
    Paolo Pecoriello è partito da Reggio Emilia a bordo della sua "500" giovedì 11 dicembre, giorno precedente gli attentati, e ha fatto ritorno alle ore 8 di sera di sabato. Al direttore del pensionato ACLI ha detto di essersi recato a Roma per visitare certi parenti. Un mese dopo, alla redazione in un settimanale romano è giunta una lettera anonima proveniente da Casina, un comune della provincia di Reggio. La lettera diceva: "L'autore di uno degli attentati di Roma è un fascista romano residente a Reggio Emilia".

Chi è Bruno Giorgi

    Bruno Giorgi, 28 anni. Romano, si è trasferito a Reggio Emilia verso la fine del 1968. Il suo nome compare nell'agendina di Mario Merlino. Compie frequenti viaggi in Germania e Romania, spesso ha dichiarato di avere contatti con un gruppo clandestino di anticomunisti rumeni che si ispirano alle Guardie di Ferro di Antonescu, un movimento collaborazionista di nazisti nato durante l'occupazione.
    Bruno Giorgi ufficialmente non lavora ma conduce un tenore di vita abbastanza elevato ed è proprietario di una Fiat 2300 carrozzata Viotti. Abita in via Doberdò, dove riceve numerose visite da fuori Reggio. E' in contatto. come Mario Merlino, con gli ambienti della destra cattolica di Vicenza e in particolare coi Comitati Civici. Anche lui ha partecipato all'organizzazione del campeggio paramilitare di Cervarezza (v. Paolo Pecoriello).
    La sua attività politica si svolge all'interno del GAN, i Gruppi di Azione Nazionale. E' collegato al movimento di estrema destra Pace e Libertà di Rimini, fondato nel 1948 dall'ex giornalista dell'Unità Luigi Cavallo. espulso dal partito comunista come agente della CIA. Il responsabile attuale di Pace e Libertà è un certo Tassinari, ex insegnante di scuola media, buon amico dell'avvocato missino Giuseppe Pasquarella e di alcuni esponenti riminesi del PSU. Tassinari compie frequenti viaggi a Firenze, dove è in contatto con un funzionario dell'USlS (United States Information Service). E' stato anche un promotore dei Comitati Civici di Rimini.
    Nell'inverno '69 Bruno Giorgi ha condotto da Parigi a Milano, a bordo della sua auto, due rappresentanti dell'OAS francese che sono intervenuti alla manifestazione dei fascisti europei svoltasi al cinema Ambasciatori. La rivista comunista Reggio 15 lo ha denunciato detentore di armi da guerra. (12)
    Il 21 gennaio 1970 ha partecipato alla riunione promossa dall'ex partigiano Rolando Maramotti per fondare il Movimento di Democrazia Maggioritaria. Presenti noti avanguardisti locali come Maurizio Faieti, il segretario del MSI di Trento Springhetti, Mario Salsi capo della sezione reggiana dei Partigiani Cristiani (nati nel 1948 da una scissione dell'ANPI, promossa e finanziata dall'ENI). Nella lettera di convocazione della riunione era assicurata anche la presenza del dottor Grasselli, presidente dell'Associazione Industriali di Reggio. Durante la riunione si era discusso di organizzare un nuovo campeggio paramilitare di tipo "mobile", che partendo dall'Appennino avrebbe dovuto trasferirsi per tappe sino in Austria e in Germania. Bruno Giorgi si è preso l'incarico di mantenere contatti con ufficiali dell'esercito italiano che gli avrebbero assicurato - secondo quanto egli ha affermato - la fornitura di tende, e di 5 camion, qualche campagnola e una cucina da campo.
    Alla fine di gennaio Bruno Giorgi ha partecipato alla riunione con Junio Valerio Borghese che si è svolta nella sede reggiana dei GAN di via dell'Abbadessa.
    Giovedì 11 dicembre, vigilia degli attentati di Milano e Roma, è partito in auto da Reggio ed è rimasto assente alcuni giorni.

Chi è Giorgio Chiesa

    Giorgio Chiesa, 27 anni. Nel 1965 se ne va da Parma, sua città natale, e ritorna dopo tre anni raccontando di essere stato prima nella Legione Straniera e poi mercenario in Congo. Lavora alle dipendenze di un avvocato missino di Piacenza, quindi si trasferisce a Milano. Gira armato di pistola calibro 7,65 perchè, dice, è stato assunto come guardia del corpo del senatore Gastone Nencioni. Tra il 9 e il 12 febbraio 1969, assieme ai fascisti Bruno Spotti e Paolo Maini, lancia bottiglie molotov contro la sede del PSIUP, la Camera del Lavoro e l'Associazione Partigiani di Parma. Nel marzo '69 si trasferisce a Rimini dove frequenta Adolfo Murri, attivista di Ordine Nuovo, Ennio Magnani attivista del movimento Pace e Libertà e amico di Serafino Di Luia, e l'avvocato missino Giuseppe Pasquarella amico di Caradonna e Romualdi, del Tassinari di Pace e Libertà e dell'avvocato Cavallari della pacciardiana Nuova Repubblica (intervistato nell'aprile di quest'anno da un giornalista di Panorama, l'avvocato Pasquarella ha profetizzato che in Italia "sta per avvenire qualcosa di grosso, per merito del PSU e del suo capo"). (13)
    Giorgio Chiesa fa frequenti viaggi tra Roma e Milano. Ai primi di aprile '69, assieme ad altri quattro fascisti che indossano come lui tute mimetiche e caschi, fa irruzione nel manicomio di Colorno occupato da medici e malati. Sono tutti armati di pistole lanciarazzi e bottiglie molotov ma vengono ugualmente respinti. Per sfuggire ai loro inseguitori i fascisti si rifugiano nella questura di Parma, da dove escono qualche ora più tardi in abiti civili. La mattina dopo, alle 6, sono davanti alla facoltà di Scienze, occupata, a sparare razzi contro le finestre.
    A metà aprile, a Rimini, Giorgio Chiesa marcia assieme all'avvocato Pasquarella, al capo dei Volontari del MSI Alberto Rossi e a Nestore Crocesi, alla testa di una spedizione punitiva contro i "rossi", al termine di un comizio del missino Romualdi. (Nestore Crocesi è il braccio destro dell'avvocato Pasquarella. Ha due residenze, a Rimini in via Clementina, e a Milano in via Albricci. Tre giorni prima degli attentati sui treni e del 9 agosto, Crocesi è partito da Rimini. Anche il 9 dicembre 1969 è andato a Roma a bordo della sua auto Fulvia coupè, ma già un'ora dopo la strage della Banca Nazionale dell'Agricoltura era a Milano, a arringare la folla di piazza Fontana. (14) Poco dopo, con altri fascisti, ha aggredito il senatore comunista Giuseppe Maris).
    Ai primi di maggio 1969, Giorgio Chiesa è di nuovo a Milano. Dorme nella pensione Sicilia di via San Maurillo, è in contatto con Antonio Sottosanti detto Nino il fascista (infiltrato tra gli anarchici) e Gian Luigi Fappani (infiltrato, per conto del SID, nel movimento studentesco). (15) Economicamente il Chiesa se la passa piuttosto male. Va per qualche giorno a Rimini da dove ritorna con un passaporto falso, una lettera di raccomandazione firmata da un colonnello dell'esercito e indirizzata ai "camerati spagnoli", e un grosso rotolo di biglietti da 10.000 lire dice che deve fare un lavoro che, se va bene, gli frutterà altri soldi e parla con molto timore dei suoi "superiori" ("se mi ordinassero di ammazzare mio figlio lo farei: con quelli non si scherza"). A Gian Luigi Fappani confida che quelli di Rimini, tra cui c`è un avvocato del quale non vuol fare il nome, sono disposti a pagare bene se "buttiamo le bombe nei posti giusti, spaventiamo la gente e facciamo cadere il governo". Nella casa di Fappani confezionano assieme dei congegni elettrici con innesco a tempo che Chiesa prende in consegna "per metterli al sicuro in casa di un amico". In quei giorni è ospite di Serafino Di Luia (appena ritornato da Francoforte con una Volkswagen targata Germania e molti soldi) nella casa che il boss del neofascismo romano ha affittato sopra la sede della CISNAL milanese di via Torino 48. Con i due stanno Nino Sottosanti e un certo Ercolino, sardo disoccupato, appartenente alle SAM (Squadre d'Azione Mussolini). (16)
    Il 25 luglio, nel palazzo di Giustizia di Milano, viene rinvenuto un ordigno esplosivo a orologeria. Giorgio Chiesa e Di Luia non sono più in città. Nella notte tra 1'8 e il 9 agosto, nove attentati sui treni. Il capo della polizia Vicari afferma che si tratta di ordigni dello stesso tipo di quello trovato inesploso nel palazzo di Giustizia a Milano. Gian Luigi Fappani va dicendo in giro che lui sa chi sono i dinamitardi e viene interrogato dalla polizia. Più o meno i congegni usati per gli attentati sui treni sono simili a quelli che Fappani ha confezionato tempo prima con Giorgio Chiesa: le pile e i contenitori sono gli stessi che hanno acquistato alla ditta Rime e in un negozio vicino a piazza Fontana (tuttavia di questi attentati verranno incolpati gli anarchici e lo stesso Giuseppe Pinelli, durante il suo ultimo interrogatorio). (17) Chiesa e Di Luia, ricercati dalla polizia secondo quanto dichiarato da alcuni quotidiani, sono scomparsi: il primo è a Parigi, il secondo viene segnalato a Rimini e quindi a Milano. insieme ad un certo Victor Pisano. (18) Nessuno pensa invece di fermare Nino Sottosanti.
    Attualmente Giorgio Chiesa dovrebbe trovarsi in Spagna, forse in carcere per reati comuni. Serafino Di Luia, ufficialmente in Germania, è stato segnalato in più occasioni a Milano e a Roma. Nino Sottosanti a Piazza Armerina in Sicilia. Gian Luigi Fappani han tentato di suicidarsi il 3 giugno 1970. Come Giorgio Chiesa, Fappani era balzato agli onori della cronaca al tempo del giallo di Parma: ambedue erano stati indicati come i sicari assunti da Tamara Baroni per uccidere la contessa Bormioli. Fappani, in marzo, doveva essere l'autore di una provocazione organizzata dal giornalista del Borghese Piero Cappello e da un dirigente del MSI milanese, Alberto Tanturri. In cambio di soldi, passaporto e un lavoro in Francia. avrebbe dovuto fare clamorose rivelazioni a dei giornali di sinistra, dimostrando come i fascisti fossero implicati in una serie di attentati: salvo poi ritrattare il tutto e permettere alla stampa di destra di montare una grossa speculazione sui sistemi usati per incolpare i fascisti. La provocazione di Fappani però non è riuscita. (19)

Chi è Serafino di Luia

    Serafino di Luia, 26 anni, numero due dopo Stefano Delle Chiaie dello squadrismo neofascista romano, abbondantemente descritto nelle pagine precedenti. Per sei mesi, tra l'autunno del '67 e la primaverà68 ha soggiornato a Monaco di Baviera, nota centrale assieme a Francoforte del neonazismo tedesco. Subito dopo, anche se in forma non ufficiale, ha partecipato con Mario Merlino e gli altri fedelissimi dei colonnelli Greci al viaggio-premio ad Atene. Al ritorno collabora al tentativo fallito di Mario Merlino di fondare il circolo pseudoanarchico XXII Marzo. Organizza poi il nazi-maoista Movimento Studentesco di Giurisprudenza che si trasforma, per maggiori esigenze mimetiche, in Movimento Studentesco Operaio d'Avanguardia ed infine in Lotta di Popolo.
    Si trasferisce a Milano ai primi del '69, abita in un abbaino sopra la sede della CISNAL e fonda la sezione milanese di Lotta di Popolo, con sede in via De Amicis. In aprile è a Monaco, negli stessi giorni in cui vi si trova un amico dell'editore neo-nazista di Treviso Giovanni Ventura. Con Giorgio Chiesa è a Rimini agli inizi dell'estate. Il 12 agosto, tre giorni dopo gli attentati sui treni, viene segnalato a Parigi in compagnia di un altro fedelissimo di Stefano Delle Chiaie, Saverio Ghiacci, spesso a Roma non vive in casa della famiglia che abita ad Ostia ma in un piccolo appartamento al quarto piano di via Tamagno 43 intestato al fascista Sandro Pisano. (20) Tra novembre e dicembre '69, in questo appartamento, si è incontrato diverse volte con Mario Merlino. Nello stesso periodo il fratello Bruno è segnalato tra i partecipanti alla riunione promossa da Stefano Delle Chiaie in un'abitazione di Cinecittà. Tema in discussione: la ricostituzione ufficiale di Avanguardia Nazionale in previsione delle imminenti elezioni amministrative e regionali (tra i presenti: Elio Quarino, Gianloreto De Amicis, Aldo Pennisi, Enrico e Gregorio Mauroenrico, Alfredo Sestili, Lucio Aragona. Lorenzo Minissi e un certo Strippella).
    Nel 1970 dopo le rivelazioni di Gian Luigi Fappani sui probabili autori degli attentati ai treni, Di Luia fa perdere le proprie tracce. Ufficialmente è ricercato dalla polizia, ma senza molto impegno. (21)  In gennaio viene visto a Roma. in una pizzeria di via del Lavatore, a due passi dal locale di via Dataria che è frequentato dai fascisti greci.

Chi è Giancarlo Cartocci

Giancarlo Cartocci, 24 anni, ex studente di ragioneria. Nel 1966 passa dal MSI a Ordine Nuovo e diviene intimo amico di  Mario Merlino (il suo nome è nell'agendina persa dall'"anarchico" del 22 Marzo). Dopo il viaggio in Grecia, aderisce al Movimento del 22 Marzo). Dopo il viaggio in Grecia. aderisce al Movimento Studentesco di Giurisprudenza creato da Serafino Di Luia e dai fascisti della facoltà di Legge. Con "smascheramento" degli studenti nazi-maoisti, nel novembre
1969, Cartocci partecipa alla ricostituzione di Avanguardia Nazionale assieme a Stefano Delle Chiaie, Bruno Di Luia, Adriano Tilgher, Sandro Pisano, Tonino Fiore, Saverio Ghiacci, Marco Marchetti, Giuseppe Morbiato, Guido Paglia, Roberto Palotto, Stelvio Valori, Francesco Mancini, Claudio Rossomariti, Cesare Perri, Vito Pace, Nerio Leonori, Domenico Pilolli, Antonio Jezzi e altri. Contemporaneamente Cartocci frequenta la sede romana di Ordine Nuovo in via degli Scipioni e diventa l'uomo di fiducia di Mario Tedeschi, direttore del Borghese e fondatore dei GAN, i Gruppi di Azione Nazionale. Cartocci provvede alla distribuzione tra i fascisti romani dei fondi del Soccorso Tricolore. Come altri del suo gruppo risulta essere in contatto con uomini del ministero degli Interni.
    La notte degli attentati del 12 dicembre Giancarlo Cartocci viene fermato a Roma dai carabinieri e messo in una stanza dove vi sono altre persone fermate con lui. Ecco la testimonianza di una di esse: "Sono stato prelevato in casa dai carabinieri, all'alba, e condotto al nucleo investigativo di San Lorenzo in Lucina. Nella stanza trovai altre tre persone che attendevano di essere interrogate. Due erano compagni D. e A., e uno un fascista, un tale Cartocci che conoscevo come uno dei nazi-maoisti della facoltà di Legge. Aveva cercato di infiltrarsi nel movimento studentesco ma era stato allontanato perchè, oltre tutto, era nel gruppo fascista che nel febbraio '69 diede l'assalto con bombe carta e molotov alla facoltà di Magistero occupata, provocando indirettamente la morte di Domenico Congedo. Appena entrai mi chiese notizie di Mario Merlino e io gli risposi che non ne sapevo nulla. Mi misi a parlare un pò con gli altri compagni e lui si sdraiò su una panca. Dopo un pò entrarono quattro
capelloni tedeschi con gli zaini, accompagnati da alcuni carabinieri. Un capellone ci si avvicina e ci squadra, poi va accanto al Cartocci che stava sdraiato con gli occhi chiusi e comincia a guardarlo. Quindi fa un cenno a un carabiniere, come di assenso. Il carabiniere si avvicina a Cartocci. lo scuote e lo fa alzare in piedi. Il tedesco lo guarda ancora, gli gira intorno, poi ripete il cenno di assenso. Poi escono tutti, capelloni e carabinieri". Quei "capelloni" tedeschi probabilmente sono gli stessi che, come scrissero alcuni quotidiani all'indomani degli attentati, avevano visto fuggire un giovane dal luogo della seconda esplosione dell'Altare della Patria. Giancarlo Cartocci fu rilasciato quasi subito.
Nel marzo di quest'anno un giornalista di un quotidiano di sinistra romano riceve da una persona la notizia che due giorni prima si era tenuta in città una riunione riservatissima tra i rappresentanti di diverse organizzazioni neofasciste. I delegati. giunti da Torino, Pavia, Messina, Bari, Napoli e altre città italiane, avevano discusso il piano per una serie di attentati da compiersi in diverse zone nei mesi di aprile e maggio, prima delle elezioni amministrative e regionali. Il giornalista non dà molto peso alla notizia sospettando una provocazione e si limita a segnare su un taccuino i nomi delle uniche due persone che il suo confidente era stato capace di segnalargli. Dopo una settimana cominciano gli attentati: a Torino, Pavia, Nervi, in Valtellina e a Roma, in un laboratorio militare. I due nomi segnati sul taccuino del giornalista sono quelli di Giancarlo Cartocci, via dei Campani 14, Roma, e di Pino Tosca, via Cumiana, Torino.
    Nel mese di maggio del '70 Cartocci si è incontrato più volte con Serafino di Luia a Roma.

Chi è Antonio Sottosanti

Antonio Sottosanti, detto Nino il fascista, 42 anni, indicato come uno dei sosia di Pietro Valpreda, tanto somigliante all'anarchico che il supertestimonio Cornelio Rolandi, davanti a una sua fotografia esclama che "è il Valpreda ritoccato". Nato da genitori siciliani a Verpogliano, Gorizia. Il padre fu ucciso nel 1930 e del delitto, rimasto impunito, furono imputati gli antifascisti slavi. Come figlio di un martire Sottosanti ha studiato a spese del regime.
    Dopo il 1945 fa diversi mestieri, anche la comparsa cinematografica. Si sposa nel 1956, ha una figlia. Fugge a Marsiglia ed entra nella Legione Straniera, dove rimane cinque anni. Risiede per un pò di tempo a Francoforte, finchè nel 1966, arriva a Milano. Lavora come portiere di notte. Torna all'estero, in Olanda, e poi di nuovo a Milano. Parla bene il francese e il tedesco, ha una discreta istruzione, riesce a esercitare una certa influenza soprattutto tra i giovani. A Milano diventa un militante del movimento di Pacciardi Nuova Repubblica, con sede in Via San Maurilio, e ne diventa il segretario per un breve periodo. Con Randolfo Pacciardi vanta buoni rapporti personali e propone varie volte all'ex partigiano medaglia d'oro Giovanni Pesce di incontrarsi con lui (ritenterà le avances anche dopo la sua "conversione" politica).
    Dopo gli attentati del 25 aprile 1969 a Milano, (incidentalmente, lavorava alla fiera campionaria) Sottosanti comincia a frequentare gli anarchici. La sua entratura politica è costituita dall'alibi che egli ha fornito al giovane anarchico Tito Pulsinelli, accusato di avere abbandonato un pacco contenente esplosivo in una strada di Porta Magenta. Gli anarchici milanesi lo conoscono come Nino il fascista ma lo accettano in parte per l'aiuto che egli ha fornito al loro compagno incarcerato, in parte perchè apprezzano il fatto che Sottosanti non nega affatto il suo passato politico: "solo che aggiunge adesso sono diventato anarchico"
    Nell'estate '69 continua a essere in stretto contatto con gli ambienti del neosquadrismo milanese. Quando ha soldi dorme alla pensione Sicilia di via San Maurilio, è amico di Giorgio Chiesa e di Serafino Di Luia. In luglio si fa vedere in giro con il già citato Ercolino, e dice che stanno organizzando gruppi per "provocare disordine e quindi un nuovo ordine". Il 6 agosto parte per Rimini, dove partecipa a una riunione di fascisti (avvenuta alla vigilia degli attentati sui treni), ma agli anarchici dice di essere andato in un altro posto. Nello stesso periodo viene notato a frequentare l'albergo Lord di via Spadari, luogo di ritrovo di fascisti italiani e greci.
    In ottobre si trasferisce in Sicilia, a Piazza Armerina. e torna a Milano solo il 2 novembre perchè deve essere interrogato dal giudice Antonio Amati sull'alibi che egli ha fornito a Tito Pulsinelli. Per diciassette giorni vive in casa dei genitori dell'anarchico, ma non esce mai di casa, passa le giornate sul letto a leggere e fumare. L'unica cosa che sembra interessarlo è riuscire a mettersi in contatto con Giuseppe Pinelli, che ha conosciuto nei mesi precedenti perchè riceveva da lui i fondi del soccorso Crocenera da inviare a Tito Pulsinelli e agli anarchici che erano in carcere.
    Verso mezzogiorno del 12 dicembre va a casa di Giuseppe Pinelli, pranza con lui e riceve un assegno di 15.000 lire per Pulsinelli, assegno che costituirà il suo alibi per il pomeriggio della strage. Alle 14.30 i due vanno al bar di via Morgantini a bere un caffè e poi alla fermata del tram dove, alle 15,05 (versione Sottosanti) si lasciano. Mentre Pinelli torna al bar, Sottosanti si reca alla Banca del Monte di via Pisanello a incassare l'assegno, quindi prende un altro tram per la piazza delle Ferrovie Nord e lì l'autobus per Pero dove vivono i genitori di Pulsinelli e dove lui arriva verso le 16,20 (teoricamente avrebbe avuto tutto il tempo di collocare l'ordigno alla banca di Piazza Fontana). Riparte per Piazza Armerina la sera di domenica 14 dicembre.
    Di questa sua permanenza a Milano vengono informate pochissime persone: gli anarchici non parlano perchè pensano che lui non debba avere grane con la polizia per non compromettere l'alibi fornito a Tito Pulsinelli. Sottosanti viene interrogato solo il 13 gennaio, quando il capo dell'ufficio politico milanese lo va a cercare  in Sicilia. Ili giudice istruttore Ernesto Cudillo lo convoca in seguito per due volte a Roma. Il giorno della sua seconda convocazione un giornale radio del pomeriggio trasmette la notizia che egli è stato arrestato come uno dei responsabili della strage di Milano. La notizia però scompare dalle successive trasmissioni. In quello stesso periodo il commissario Allegra riesce a far circolare fra giornalisti e avvocati la voce secondo cui Nino Sottosanti deve essere collegato a Giuseppe Pinelli (anzi: è stato Pinelli che dato la valigetta al tritolo a Sottosanti, quel venerdì a mezzogiorno in casa sua... Poi sono usciti assieme, Pinelli è andato al bar e Sottosanti in piazza Fontana. Ecco quindi perchè Pinelli si è ucciso...).
    Invece delle "indiscrezioni" messe in giro dal capo della squadra politica milanese, vale la pena sottolineare qui alcune contraddizioni e particolari strani che circondano la figura di Sottosanti e il ruolo che egli può aver svolto.
    1) Nino Sottosanti non viene immediatamente fermato dopo le bombe del 12, malgrado le retate siano state pesanti: eppure la polizia sapeva benissimo che egli si trova in quei giorni a Milano e anzi risulta che egli fosse costantemente seguito;
    2) la polizia inoltre era al corrente che Sottosanti era stato in casa Pinelli venerdì 12 e che aveva ricevuto l'assegno dell'anarchico, come risultava dalla matrice del blocchetto degli assegni di Pino; poteva quindi trattarsi di un indizio molto comodo per coinvolgere assieme agli anarchici un ex fascista come Sottosanti, alla luce della manovra attuata da tempo contro "gli opposti estremismi" di destra e di sinistra, che coincidono;
    3) invece si aspetta ad interrogare Sottosanti sino al 13 gennaio, quando il commissario Antonino Allegra va a cercarlo in Sicilia. Non si sa bene se questa sia stata una sua iniziativa personale ma è certo che Allegra in quell'occasione viene accompagnato dal brigadiere Vito Panessa, il fedelissimo del commissario Calabresi, il quale di fatto sembra condurre l'interrogatorio. Dopo la convocazione del magistrato a Roma, su Nino  Sottosanti è calato un sipario di silenzio, Perchè?

Fascisti italiani e greci

    Verso le 19,30 di venerdì 12 dicembre, tre ore dopo la strage di piazza Fontana. davanti alla vetrina di un negozio di arredamento in corso di Porta Vittoria a Milano, un gruppo di persone discute animatamente. L'argomento che ricorre più di sovente è quello di un "pagamento in banca" che, a dire di alcuni, "non doveva essere fatto". Sono dei fascisti di Modena. Uno di loro è Pietro Cerullo. consigliere comunale del MSI e presidente nazionale del FUAN-Caravella, l'organizzazione universitaria missina. Un altro si chiama Gianni Cavazzuti. I rimanenti cinque non sono molto noti. Sono partiti tutti da Modena per Milano quella mattina a bordo di due auto. una Giulia e una "1100". Vi fanno ritorno verso le tre di notte, e si fermano al bar Nuovo Fiore.
    Modena è, dopo Napoli, la città che rappresenta uno dei maggiori punti di forza dell'ESESI (Etnikòs Syndesmos Ellinon Spudastòn Italias), la lega degli studenti greci fascisti in Italia. A Modena risiede anche il sedicente studente universitario Andrea Kalisperakis, uno dei fondatori dell'ESESI e agente di Costantino Plevris l'uomo dei servizio segreto greco KYP (Kratikè Yperesia Pleforion) che ha l'incarico di occuparsi della cosiddetta "questione italiana".
    Il missino Pietro Cerullo è uno dei più importanti intermediari tra i fascisti italiani e greci, così Come lo è il giornalista Pino Rauti del Tempo di Roma. Nel mese di maggio 1969 Cerullo ha partecipato a Napoli al congresso nazionale dell'ESESI, al quale ha portato il saluto ufficiale dei giovani del MSI (che concludeva così: "Reazione e movimento sì! Rivoluzione sì! Però con contenuti ed ideali! La Grecia diventi nuovamente, ancora per una volta, l'Acropoli della vittoria dei nuovi valori spirituali e ideali!"). Successivamente, e sempre a Napoli, Pietro Cerullo ha partecipato ad una serie di riunioni molto riservate che si sono svolte in uno stabile di proprietà della Confraternita greco-ortodossa, di via San Tommaso d'Aquino n. 36.

L'ESESI


L'ESESI è stata fondata nell'aprile 1967, all'indomani dei colpo di stato dei colonnelli. Il 22 giugno si è svolto a Roma, nell'aula magna del Civis, messa a disposizione dal Ministero degli Esteri italiano, il suo primo congresso con i rappresentanti di dodici sedi universitarie. Erano presenti il console Miltiadis Mutsios, il generale di brigata Koliopulos e i colonnelli Iliadis, Arvantis, Raissis, Paleologos e Tsadiles, del corpo di spedizione greco della NATO di stanza a Bagnoli, presso Napoli. Per decisione del primo ministro Papadopoulos (l'uomo che Andrea Papandreu ha definito "il primo agente della CIA che sia arrivato ad occupare un posto di primo ministro"). La lega italiana, come del resto tutte le altre leghe di studenti greci all'estero, sino a quel momento di competenza dei ministero della Previdenza di Atene, è stata posta sotto il diretto controllo del KYP, il servizio segreto dei colonnelli. Presidente dell'ESESI fu eletto Liakos Kristòs, studente quarantenne della facoltà di Medicina dell'università di Roma. La direzione politica effettiva è stata però affidata a un agente del KYP già segnalatosi nella fase preparatoria del colpo di stato, tale Lazaris, improvvisamente richiamato in Grecia qualche mese fa.
    All'atto della costituzione, l'ESESI poteva contare su nemmeno un centinaio di aderenti, in maggioranza figli di militari e di ricchi professionisti ateniesi, sul totale di circa 2.500 studenti greci in Italia. In tre anni la lega ha portato i suoi aderenti a 600, e ha aperto sedi in diciotto città italiane.
    Secondo il suo statuto, le finalità dell'ESESI sono:

"1) coordinamento dell'azione nazionale degli studenti greci;
2) vigilanza morale sul credo nazionale degli studenti greci in Italia;
3) vigilanza e difesa dei valori più genuini della civiltà greco-cristiana, a carattere pan-universale: Religione, Patria, Famiglia;
4) lotta decisa contro tutti gli avversari della Grecia Eterna: come Spirito, come Nazione, come Stato totalitario (sic!);
5) attività propagandistica, in collaborazione con le autorità di Atene, presso l'opinione pubblica italiana e europea".

    Nell'organico dell'ESESI, oltre che studenti fascisti, sono stati introdotti anche un centinaio di ufficiali e agenti del KYP che si sono iscritti agli ultimi anni di corso in varie facoltà, soprattutto a Napoli, Roma, Bologna, Modena e Milano. E' gente sui trenta anni, che lavora a tempo pieno: tiene d'occhio gli antifascisti greci in esilio, fotografa i partecipanti alle manifestazioni antimperialiste, assiste a conferenze e dibattiti, raccoglie ogni specie di informazione sull'attività dei cittadini greci in Italia, spesso con l'aiuto degli uffici politici delle nostre questure (nel luglio 1969 il settimanale ABC ha rivelato che questi professionisti avevano ottenuto libero accesso allo schedario politico della questura napoletana, e non è mai stato smentito).
    Quando uno studente greco arriva in Italia, l'ESESI procede in questo modo: primo, aiuti pratici (indicazioni di alloggi e ristoranti a buon mercato, ecc.); secondo. sondaggio politico. Se lo studente è entusiasta del regime dei colonnelli o almeno favorevole, viene subito iscritto. Se è contrario, viene sottoposto a un periodo di indottrinamento e persuasione. Se rifiuta, o se il periodo non serve a nulla, viene segnalato al viceconsole greco di Napoli, Hercole Aghiovlasitis, che si occupa del censimento dettagliato di tutti gli studenti e manda aggiornati rapporti a Atene. Qui i provvedimenti sono vari: limitazione del visto, interruzione della proroga del servizio militare, proibizione di ricevere denaro da casa, pressioni sui familiari fino al ritiro del passaporto e quindi al rimpatrio coatto.
    L'arma più efficace di ricatto resta comunque quella di minacciare rappresaglie sui familiari degli studenti. Con questi sistemi negli ultimi due anni 10 studenti sono stati rimpatriati a forza, e i loro compagni di corso non ne hanno avuto più notizia. Inoltre sono avvenuti casi di sparizioni improvvise e misteriose: sette nel solo 1969 (tre a Napoli, due a Roma. uno a Bologna e uno a Milano).

Gli agenti dei colonnelli in Italia

    L'attività dell'ESESI è anche più intensa sul piano politico. In tre successivi congressi tenuti a Napoli nel gennaio '68 e nel gennaio e maggio '69, è stata fondata la Confederazione Europea delle Leghe degli studenti greci. L'archimandrita Ghenadios Zervòs ha benedetto i partecipanti. Nuovo presidente è stato eletto Spiros Stathopulos, agente del KYP iscritto all'università di Napoli.
    I legami tra l'ESESI e la sede del KYP ad Atene sono diventati sempre più stretti. Al KYP confluiscono ormai non solo le
informazioni relative agli studenti greci ma anche a individui e associazioni di sinistra italiani. Tali informazioni vengono fornite
da spie che si infiltrano in vario modo o si fanno passare per progressisti (come è accaduto per il falso membro del partito
comunista greco in esilio Teodoro Allonisiotis. smascherato a Modena grazie a una lettera riservata che aveva smarrito, e per un altro falso antifascista, Demetrio Papanicol, che ha dovuto rifugiarsi nell'ambasciata greca di Roma). Questo spiega perché
studenti italiani siano stati respinti talvolta alle frontiere greche in quanto "noti sovversivi", e spiega anche come mai
l'ambasciata americana in Italia rifiuti il visto d'ingresso negli Stati Uniti a persone che, pur non risultando sospette agli uffici
politici delle questure, avvicinate da falsi antifascisti greci si erano dichiarate disposte a collaborare. La sezione D della CIA, che si occupa dei movimenti della sinistra extrapariamentare europea, collabora attivamente con il KYP greco in questa attività che le permette di arricchire e integrare il suo schedario comprendente oltre 30.000 nomi di "segnalati" e denominato "archivio M".
    La direzione centrale dell'ESESI si è trasferita nel gennaio dei '68 da Roma a Napoli, dove ha trovato un efficace punto
d'appoggio nel corpo di spedizione greco della NATO e nella Confraternita greco-ortodossa. Il vero cervello operativo rimane
comunque ad Atene, nella sede del KYP nei pressi di via Baboulinas dove ha il suo ufficio Costanino Plevris. I suoi più abili
fiduciari in Italia sono Demostene Papas (segretario della Confraternita napoletana che mantiene contatti con la Curia e con il
Vaticano, è l'"ispiratore politico" dei rapporti tra gli ufficiali greci della NATO e gli ufficiali italiani e ha ottimi rapporti
personali con funzionari del consolato di Napoli e dell'ambasciata di Roma degli Stati Uniti); Spyridon Papavassilopulos, l'addetto commerciale greco a Milano incaricato dei finanziamenti (ufficio in via Pirelli 24, abitazione in via Cucchiari 1), e Anassis Janapulos.
    lanapulos, che riceve le lettere dei suoi informatori alla casella 213 della posta centrale di Atene, ha un appartamento nel centro di Napoli ma viaggia continuamente per l'Italia, mantenendo e migliorando i rapporti con gli ambienti dell'estrema destra,
nei quali mantiene viva la simpatia per la causa della "Grecia Nazionale". E' amico di Giulio Caradonna, Luigi Turchi, Nardo di
Nardo; di Alberto Rossi detto il Bava, capo dell'organizzazione squadristica Volontari Nazionali del MSI, di Massimo Anderson e di Junio Valerio Borghese, presidente dei Fronte Nazionale. Inoltre vanta buone conoscenze in ambienti industriali, militari e giornalistici, e con alcuni autorevoli rappresentanti della massoneria di piazza dei Gesù.
    Fin dal 1968 alcuni studenti dell'ESESI si sono presentati candidati nelle liste del FUAN-Caravella alle lezioni universitarie.
Nel corso del 1969, e soprattutto nella seconda metà dell'anno (dopo che il ministero degli Interni italiano ha autorizzato
ufficialmente la costituzione dell'ESESI, considerando questa lunga mano operativa di uno stato fascista come una qualsiasi
associazione culturale di residenti stranieri), l'ESESI ha intensificato la sua attività. Oltre ai due congressi ufficiali, in tutte le sue
sedi si sono tenute molte riunioni. Tre di queste, a carattere riservatissimo, si sono svolte in luglio-settembre e novembre nella
sede della Confraternita greco-ortodossa di Napoli, presenti alcuni ufficiali greci della NATO; altre due, in ottobre e novembre,
nella sede della lega di Modena, in via Faloppia, 14. Sempre in ottobre e novembre il presidente dell'ESESI Spiros Stathopulos, ha partecipato ad altre due riunioni segrete nell'abitazione di un ufficiale greco della NATO, in via Manzoni a Napoli. Erano presenti il funzionario dei consolato Michele Upessios, Anassis Janapulos, un altro greco di nome Savvas, (22) un deputato del MSI e un esponente dei Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese.
    Contemporaneamente, nell'autunno 1969, l'ESESI ha intensificato le provocazioni contro gli studenti greci antifascisti. In tutte
le sedi universitarie sono apparse scritte inneggianti al regime dei colonnelli. Incidenti sono scoppiati a Bari, a Bologna, Ferrara (dove il FUAN-Caravella ha diffuso un volantino con lo slogan "Ieri in Grecia, oggi in Italia"), Messina, Palermo e Pisa.
    A Pisa la spedizione punitiva organizzata il 21 ottobre dai membri dell'ESESI provenienti da diverse città (Costantino Recutis
guidava quelli di Napoli e Nicolas Spanos quelli di Bologna), appoggiati dai gruppi FUAN-Caravella, dai Volontari del MSI e dagli squadristi romani di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, contro un'assemblea dell'Associazione Studenti Ellenici, ha
provocato diversi feriti. Nei giorni successivi la città è stata teatro di violenti scontri tra la polizia e gli studenti di sinistra che,
appoggiati dalla popolazione, avevano cercato di assalire la sede dei MSI. Il 26 ottobre è morto lo studente Cesare Pardini,
colpito. all'altezza dei cuore da un lacrimogeno sparato da un poliziotto.

Costantino Plevris, incaricato dalla "Questione italiana"

    L'uomo che a Atene si occupa dell'ESESI e della "questione italiana" è Costantino Plevris. Intellettuale, fa il giornalista e lo
scrittore. E' autore di due libri, l'Antidemocratico e Politica e propaganda, che sorreggono l'ideologia nazionalista, razzista e
anticulturale dei colonnelli. Politica e propaganda è stato adottato come libro di testo nelle scuole allievi ufficiali della polizia e
dell'esercito.
    Plevris è un agente del KYP, il servizio segreto greco, filiazione diretta della CIA americana. Gli Stati Uniti hanno speso più
di mezzo miliardo di dollari per dotare la Grecia di un apparato poliziesco adatto e il KYP, che ha sede a Atene nei pressi di via Baboulinas, è la punta di diamante di questo apparato.
    Costantino Plevris è stato uno degli ideatori di quella "strategia della tensione" che si concretò, specialmente ad Atene, in
una serie di attentati dinamitardi destinati, come in effetti avvenne, a creare l'atmosfera più favorevole per il colpo di stato dei
colonnelli del 21 aprile 1967. Egli stesso ha partecipato materialmente a uno degli attentati, quello che devastò la redazione del
giornale conservatore Elèftheros Kòsmos.
    A Costantino Plevris è stato affidato l'incarico di occuparsi della "questione italiana" per questa sua esperienza e perché è
l'uomo di fiducia del colonnello Giorgio Ladas, comandante della polizia militare greca che fu una carta determinante per il
putsch dei 21 aprile (Ladas è stato l'interlocutore del "signor P." il fiduciario italiano dei colonnelli: lo cita a questo proposito
il rapporto segreto inviato dal capo dell'ufficio diplomatico del ministero degli Esteri greco all'ambasciatore di Atene a Roma, e
pubblicato dal settimanale inglese The Observer). (23)   Costantino Plevris, appena ricevuto l'incarico, ha preso contatto con due colonnelli greci della base NATO di Napoli, Paleologos e Tsadiles e con il console Mittiodis. In giugno ha promosso la    costituzione dell'ESESI.
    Nel 1969 ha fatto frequenti viaggi in Italia e in varie capitali europee, ufficialmente per accertarsi delle condizioni degli studenti greci all'estero, in realtà per creare una rete sempre più stretta di rapporti con organizzatori di estrema destra. In Francia con Ordre Nouveau, Occident e Jeunnesse de la nuit. In Austria con Ventesimo Gruppo, in Germania occidentale con Nazione Europea e in Belgio con Jeune Europe e con i Comitati della Gioventù Anticomunista.
    In Italia i legami più stretti di Plevris sono con Ordine Nuovo di Pino Rauti, Europa Civiltà di  Loris Facchinetti, (24) con i GAN (Gruppi di Azione Nazionale) di Mario Tedeschi, direttore del settimanale Il Borghese, e con il Fronie Nazionale di Junio Valerio Borghese.

Costantino Plevris in Italia prima delle bonibe

    Mercoledì 17 dicembre 1969, cinque giorni dopo la strage di piazza Fontana, una persona riesce ad incontrare Costantino Plevris a Atene, qualificandosi come fotoreporter dei settimanale fascista di Roma Lo Specchio. L'incontro avviene nella sede del movimento neonazista greco "4 Agosto", nello stesso luogo dove Plevris ha ricevuto Mario Merlino e gli altri fascisti italiani che nella primaverà68 hanno partecipato al viaggio-premio offerto dall'ESESI e organizzato da Stefano Delle Chiaie e dal giornalista Pino Rauti.
    Al colloquio tra Plevris e il finto giornalista fascista partecipano due studenti greci che parlano correttamente italiano. Uno
di essi, che mostra una conoscenza approfondita della situazione politica italiana, si chiama Andrea (probabilmente è Andrea Kalisperakis, uno dei fondatori dell'ESESI, studente iscritto alla università di Modena, alle dirette dipendenze dell'agente del KYP Anassis Janopoulos, per conto del quale fa frequenti viaggi a Roma e a Napoli).
    Una volta verificate le credenziali del "camerata" italiano, che appaiono in perfetta regola, il colloquio assume un tono quasi confidenziale. Si parla prima della Grecia. Plevris dice che il regime dei colonnelli "è troppo moderato, ha tradito le promesse iniziali". La colpa, aggiunge, è del primo ministro Giorgio Papadopoulos, "un vero pagliaccio".
    Poi il discorso si sposta sulla situazione italiana. Plevris chiede quale è il giudizio dell'uomo della strada sui partiti, sulle lotte sindacali, sul movimento studentesco. In particolare vuole sapere come ha reagito l'opinione pubblica agli attentati avvenuti cinque giorni prima. Il "camerata" dello Specchio gli risponde che non è in grado di dargli notizie aggiornate perchè, manca da un mese dall'Italia, per motivi di lavoro. Plevris gli chiede se conosce Pino Rauti. Naturalmente, risponde il fotoreporter, è un collega, un redattore del Tempo. "Cosa ne pensa di lui?" insiste Plevris. L'altro, che non si aspettava una domanda del genere, si limita a dire che considera Rauti "un sincero anticomunista". Plevris è soddisfatto, spiega che lui e Rauti sono molto amici, che si scambiano spesso visita e anzi, lo ha visto proprio di recente. "Quando" chiede il fotoreporter. "Ai primi di dicembre, a Roma, insieme con la giornalista Gianna Preda, redattore capo del Borghese.
    Vista la franchezza, il "camerata" italiano si fa coraggio e pone domande più precise sui rapporti di Plevris con Pino Rauti e altri giornalisti italiani. Ma Plevris diventa immediatamente evasivo, lascia cadere immediatamente il discorso. Si alza, prende il telefono e parla nervosamente con qualcuno, in greco. Subito dopo dice di avere un impegno urgente e che semmai la chiaccherata può continuare il giorno dopo, alla stessa ora e sempre nella sede del movimento "4 Agosto".
    Col fotoreporter escono anche i due studenti. Sulla strada Andrea gli dice che potrebbero rivedersi a Roma verso i primi di gennaio, che lui lo si può trovare nella sede di Ordine Nuovo.
    L'indomani "il camerata" si guarda bene dal tornare al movimento "4 Agosto". Due giorni dopo viene espulso dalla Grecia, senza alcuna motivazione.
    Anche la Resistenza greca ha segnalato la presenza di Costantino Plevris in Italia: ai primi di dicembre, oltre che a Roma, è stato a Milano.

Junio Valerio Borghese e il Fronte Nazionale

   Neofascisti, vecchi fascisti, paracadutisti, ex repubblichini, destra parlamentare e extraparlamentare, campeggi paramilitari, squadre d'azìone, attentati, complotti in Valtellina, armi, finanziamenti industriali, rapporti con le forze armate, coi servizi segreti italiani e stranieri, coi fascisti greci, riunioni riservate alla vigilia delle bombe del 12 dicembre, un uomo che scompare qualche giorno dopo (Armando Calzolari).
    Se c'è una persona in Italia che, silenziosa, spettrale, muovendosi discretamente dietro le quinte, sembra tenere in mano i fili della complessa ragnatela che collega i vari punti di forza e d'azione della destra, questa persona è Junio Valerio Borghese, il principe nero, presidente dei Fronte Nazionale.
    Ha 63 anni, è pluridecorato per le azioni svolte contro la flotta inglese ad Alessandria, Malta e Gibilterra durante l'ultima guerra, nei diciotto mesi della Repubblica Sociale è stato il comandante della Decima Mas (rastrellamenti, massacri di partigiani e popolazione civile, fianco a fianco delle SS: 800 omicidi, secondo la sentenza pronunciata nel 1949 dalla Corte Speciale d'Assise), condannato come criminale di guerra nel 1946, rimesso in libertà dall'amnistia il 18 febbraio 1949.
    Uno dei primi presidenti onorari del MSI. Al tempo della crisi di Trieste radunò un migliaio dei suoi ex marò nei pressi di
Treviso, armati e pronti a marciare per l'"azione fiumana". Borghese ha sempre cercato di dimostrare che i suoi rapporti con il
Movimento Sociale erano autonomi anche se, nella campagna elettorale del 1958, quando la FNCRSI (Federazione Nazionale
Combattenti Repubblica Sociale Italiana) invitò i suoi aderenti a votare scheda bianca per la polemica contro il MSI che giudicava "borghese e reazionario", egli accorse in aiuto di Arturo Michelini fondando la UNCRSI (Unione Nazionale Combattenti Repubblica Sociale Italiana), su posizioni ortodosse rispetto al partito.
    Nel 1967 lunio Valerio Borghese ha fondato il Fronte Nazionale con i soci del Circolo dei Selvatici (Roma, via dell'Anima
55) . Il circolo era stato sino ad allora la copertura culturale del Fronte Grigioverde, una associazione che comprendeva, come
ancora oggi il Fronte Nazionale, ex ufficiali della Decima Mas, della Monterosa e della Etnea, più altri, in pensione e in servizio,
di armi e corpi diversi.
    Il programma politico del Fronte Nazionale: "I partiti non devono più essere protagonisti attivi della vita politica, essi vanno
esclusi da ogni partecipazione di governo". "Costituzione di uno Stato forte... libertà dei cittadini intesa come osservanza
assoluta e immediata delle leggi... critica concessa se qualificata ed espressa nel quadro degli interessi nazionali". "Assemblea
legislativa nazionale formata dai rappresentanti di categoria... nonché da cittadini chiamati a tale funzione per meriti eccezionali".
    Valerio Borghese non ama la propaganda politica esplicita e ha sempre cercato di crearsi una fama di uomo al di sopra della
mischia, evitando la grossolana apologia del fascismo e di rimanere invischiato nelle beghe che tradizionalmente dilaniano il MSI
e i vari gruppi della estrema destra. Questa riservatezza del "principe nero" ha degli scopi ben precisi. Ad essa si adeguano
anche i principali sostenitori del Fronte Nazionale, molti dei quali non sono neppure conosciuti.
    Tra quelli noti ci sono Benito Guadagni, industriale, ex repubblichino, segretario del Fronte Nazionale e finanziatore del bollettino interno che, in dicembre, qualche giorno dopo gli attentati, ha litigato violentemente con Borghese, e, almeno
ufficialmente, ha abbandonato l'associazione facendo cessare la pubblicazione del bollettino; l'aiutante di campo di Borghese,
Arillo, il comandante Bianchini e il vice comandante Santino Viaggio (i due che avvicinarono Evelino Loi proponendogli di
compiere delle "azioni"). Nella seconda metà di dicembre anche Viaggio ha abbandonato il Fronte Nazionale, o almeno così ha
dichiarato. Poi c'è il comandante Marzi, ex repubblichino residente a Milano: l'11 dicembre è andato a Roma e c'è rimasto sino
alla sera del giorno dopo. E c'era, infine, anche Armando Calzolari, l'uomo scomparso la mattina di Natale e ritrovato un mese
dopo, cadavere, in fondo a un pozzo della periferia romana.

Rapporti con industriali e forze armate

    Junio Valerio Borghese è proprietario di una tenuta in Calabria. di un castello a Artena, nel Lazio, di una villa a Nettuno e di
alcuni immobili a Roma, oltre che di una famosa collezione di quadri. Ma non risulta che egli attinga al suo patrimonio, peraltro
non solidissimo. per finanziare il Fronte Nazionale. In compenso ha rapporti motto stretti con alcuni grossi nomi della finanza e
dell'industria americana e inglese e, in Italia, con ambienti industriali di Milano, Genova, La Spezia, Livorno e, tramite il principe
Filippo Orsini, ex assistente al soglio pontificio, con il Vaticano.
    Tra la fine dei '68 e la primavera-estate '69 ha compiuto un lungo giro nelle città italiane. A La Spezia ha preso contatti con
alcuni esponenti dell'Unione Industriale, come anche a Milano. Il 12 aprile '69 a Genova, ha tenuto una riunione alla quale hanno preso parte i figli di un grosso armatore, un dirigente dell'IMI, tale Fedelini, e altri esponenti dell'industria. Ai primi di maggio, seconda riunione genovese (Borghese alloggia al Jolly Hotel assieme alla sua guardia del corpo composta da quattro fedelissimi) e il 9 giugno la terza. Questa volta sono presenti anche l'armatore Roberto Cao di San Marco e un importante petroliere della Val Polcevera. Qualcosa comunque non deve aver funzionato nel corso di questo "raid" perché di recente alcuni industriali di La Spezia hanno denunciato per truffa (sembra di 50 milioni) due esponenti del Fronte Nazionale.
    Junio Valerio Borghese è riuscito ad allacciare buoni rapporti con le forze armate, in questo favorito dalla sua fama di "valoroso" ex combattente. Vi sono almeno due episodi che testimoniano della popolarità che gode tra i soldati. Il 26 settembre
1966, a una manifestazione del Comitato Tricolore indetta a Roma dal MSI e dalla Nuova Repubblica di Randolfo Pacciardi;
Borghese pronunciò un discorso per denunciare "il tradimento del governo sulla questione dell'Alto Adige", ricevendo un
entusiastico consenso non solo dai dirigenti delle associazioni combattentistiche ma anche da parte dei molti ufficiali in servizio
che erano presenti. Il 23 ottobre 1969, alla celebrazione della battaglia di, El Alamein, in piazza Venezia a Roma, è stato letto un messaggio di Borghese tra i grandi applausi non solo degli ex paracadutisti ma anche di numerosi alti ufficiali della Repubblica Italiana.
    Inoltre Borghese ha collegamenti con l'AUCA (Associazione Ufficiali Combattentistici Attivi, denunciata nel luglio '69 dal
sindaco di Bologna per un documento che incitava al colpo di stato militare, rivolgendosi anche a "chi ha militato nel campo
opposto") e con elementi della Comunità dei Ragazzi del 3° Corso di Modena, un'altra associazione di militari in servizio.
    Quando manca il contatto diretto, viene usato questo sistema per stabilire legami con gli ufficiali: i sottufficiali reclutati dal
Fronte Nazionale segnalano, con rapporti periodici, tutti quegli elementi - discorsi, letture, telefonate, ecc. - utili a stabilire la
predisposizione "sicuramente anticomunista" del possibile candidato. Se il soggetto alla fine è giudicato idoneo, viene avvicinato
da un aderente al Fronte Nazionale che sia suo pari grado.
    Uno dei punti di maggior forza di Valerio Borghese resta naturalmente la Marina. A La Spezia, dove egli è particolarmente
introdotto, esiste una grossa officina di riparazione dei carri armati. I carri guasti in giacenza sono molti e tutti forniti di regolare "bassa", ma sembra che per la maggior parte sarebbe sufficiente la rapida sostituzione di qualche pezzo e sarebbero in grado di
funzionare.
    Nonostante l'apparente distacco, il Fronte Nazionale è strettamente collegato a quasi tutte le forze di estrema destra, a partire dal MSI. Borghese infatti è uno dei finanziatori del suo organo ufficiale Il Secolo d'Italia, ed è legato personalmente ad alcuni deputati come Luigi Turchi (figlio di Franz, direttore della Piazza d'Italia, grande elettore del presidente Nixon in favore del quale ha compiuto un viaggio di propaganda tra gli immigrati italiani negli Stati Uniti) e Giulio Caradonna, organizzatore dello squadrismo romano. Turchi e Caradonna sono tra gli uomini di fiducia dei colonnelli greci, così come lo è lo stesso Borghese che risulta abbia rapporti con Costantino Plevris. l'uomo del KYP incaricato della "questione italiana".
    Oltre all'aspetto "aristocratico" della sua figura, che gli permette di stabilire di stabilire contatti a alto livello, Borghese
utilizza anche la fama di uomo d'azione per riscuotere la fiducia di tutti i gruppi di estrema destra extra-parlamentare. Il gioco gli è quasi riuscito, specie con Ordine Nuovo di Pino Rauti; il giornalista amico di Costantino Plevris che è stato indicato come il "signor P." citato nel rapporto inviato dal ministero degli Esteri greco al suo ambasciatore a Roma. Buoni rapporti anche con Avanguardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie i cui aderenti hanno frequentato per molto tempo il Circolo dei Selvatici di via dell'Anima.

 

(1) Dal verbale d'interrogatorio di un anarchico arrestato per gli attentati del 25 aprile a Milano: "Dichiaro i motivi per cui i verbali da me precedentemente firmati sono completamente falsi. Per tre giorni in Questura sono rimasto senza dormire e mi veniva imposto di stare in piedi quando le mie risposte non corrispondevano alla volontà degli agenti. Essi non hanno cessato un minuto d' interrogarmi e per questo si davano il cambio. Solo al terzo giorno mi è stato concesso di mangiare; ho dovuto affrontare un viaggio di notte da Pisa a Milano. ero intirizzito perchè non avevo con me indumenti caldi. Ma quello che più ha influito nel farmi firmare i verbali scritti dalla polizia sono state le percosse e le minacce. Era la prima volta che subito la violenza fisica. Sono stato schiaffeggiato, colpito alla nuca, preso a pugni, mi venivano tirati i capelli e torti i nervi del collo. Rendeva più terribile le percosse il fatto che avvenivano all'improvviso dopo aver fatto chiudere le imposte e venivo colpito al buio In particolare ricordo di essere stato colpito dal dr. Zagari che mi accolse al mio arrivo da Pisa alle 3 di notte con una nutrita scarica di schiaffi, e dragli genti Mucilli e Panessa (n.d.a.; gli stessi che, assieme al commissario Calabresi, interrogarono Pinelli). Quanto alle minacce, consistevano nel terrorizzarmi annunciandomi, codice alla mano, a quanti anni di carcere avrei potuto essere condannato. cioè fino a venti anni. Tali minacce mi furono ripetute in carcere da parte del dottor Calabresi".

(2) Nel maggio del 1970, al termine di una manifestazione degli anarchici milanesi contro l'archiviazione del caso Pinelli, Pasquale Valitutti è stato arrestato sotto l'accusa di esserne stato l'organizzatore ed è rimasto in carcere fino al 15 Giugno.

(3) Mentre era in corso l'istruttoria sulla morte di Giuseppe Pinelli, al dott. Giuseppe Caizzi vengono affidati una serie di procedimenti che egli gestirà in un modo che dovrebbe accreditarlo come magistrato democratico. Pubblico Ministero nel processo contro Piergiorgio Bellocchio, direttore del settimanale Lotta Continua ridimensiona il capo d'imputazione nei suoi confronti definendo incostituzionali alcuni articoli del codice Rocco di cui la Procura aveva chiesto l'applicazione; archivia la denuncia per vilipendio sporta dalla Questura milanese contro il film Indagine su un cittadino al disopra di ogni sospetto: promuove azione penale contro il direttore del Borghese, Mario Tedeschi, per un articolo nel quale s'incitava la polizia "ad occupare militarmente Milano". L'istruttoria sul caso Pinelli, durata cinque mesi, verrà archiviata il giorno successivo alla proclamazione, da parte dei sindacati poligrafici, di uno sciopero di una settimana, durante il quale i quotidiani non uscirono.

(4) Nel febbraio del 1970 questi verrà promosso capitano e trasferito dal capoluogo lombardo.

(5) Sostituto alla Procura della Repubblica di Roma, della quale dirige l'Ufficio Stampa, il dott. Occorsio fu Pubblico Ministero nel primo processo De Lorenzo-Espresso. In quella occasione chiese l'assoluzione dei giornalisti Jannuzzi e Scalfari, querelati dal generale sifaritico per le loro rivelazioni sul tentativo di colpo di Stato del luglio '64 e comunque condannati dalla IV Sezione del Tribunale di Roma, e la trasmissione degli atti al proprio ufficio per procedere contro il De Lorenzo in ordine a vari reati, tra cui quello di "usurpazione di potere politico". Tale linea. negli ambienti politico-forensi, fu definita "saragattiana".  Nel novembre del '69 il dott. Occorsio promosse l'azione penale contro il direttore del settimanale "Pottere Operaio", Francesco Tolin, del quale ordinò l'arresto preventivo. Tale procedura  - del tutto eccezionale trattandosi di "reati a mezzo stampa" - fu fermamente criticata in un o.d.g. dell'Associazione Nazionale Magistrati.dalla quale egli si dimise, per protesta, riscuotendo la solidarietà unanime della stampa reazionaria. Al processo, nella sua requisitoria contro Francesco Tolin, ne chiese la condanna a una pesante pena, sottolineando che "le forze della sinistra extra-parlamentare attaccano persino il PCI e i sindacati... ". Il dott. Occorsio è collaboratore della rivista giuridica "Il diritto delle comunicazioni " il cui direttore, avv. Emanuele Santoro, è il legale della RAI-TV e uomo molto vicino al suo vice presidente, il socialdemocratico Italo De Feo.

(6) Il fondo di solidarietà anarchica.

(7) Durante l'interrogatorio a cui fu sottoposto subito dopo il fermo di polizia, a Sergio Ardau furono mostrati tutti i reperti per eventuali riconoscimenti.

(8) Il quotidiano di Roma il Tempo ne attribuì la responsabilità a "comunisti sacrileghi"

(9) I GAN sono stati fondati l'11 maggio 1969 dall'ex repubblichino Mario Tedeschi, direttore del settimanale Il Borghese. Sono circa 250, diffusi in tutta Italia. Si presentano come filonixoniani e ardenti sostenitori del regime dei colonnelli greci, con i cui agenti in Italia hanno stretti rapporti. I loro aderenti appartengono in maggioranza alla media e piccola borghesia: commercianti. funzionari statali, professionisti, piccoli industriali, ufficiali dell'esercito, e cc. Scarsi i giovani che, dove sono presenti, come a Reggio Emilia e a Venezia, partecipano alle azioni squadristiche. Centro propulsore dei GAN è Il Borghese, nota centrale - assieme al Tempo e allo Specchio - di provocazioni giornalistiche. che nell'autunno 1969 ha organizzato il Soccorso Tricolore per raccogliere fondi destinati a squadristi e poliziotti. Recentemente ha proposto per un premio il vicequestore Mazzatosta, responsabile dell'ordine pubblico nell'università di Roma. Il Borghese è finanziato, oltre che dallo stesso Tedeschi, dal senatore missino Gastone Nencioni, da monsignor Pisoni e dall'industriale Carlo Pesenti che negli ultimi due anni ha investito grossi capitali in Grecia nel settore dell'edilizia. Un suo uomo di fiducia, Roberto Ardigò, ha avuto frequenti contatti nel corso del 1969 con personaggi di rilievo del mondo politico-finanziario ateniese. Improvvisamente, all'inizio del 1970, i rapporti tra Pesenti e Ardigò si sono deteriorati e quest'ultimo è stato allontanato dalla carica di amministratore della Italmobiliare (proprietà Italcementi).

(10) Con un linguaggio mistificato - preso a prestito per metà da Bakunin e per l'altra metà del filosofo fascista Julius Evola - vi si fa la difesa d'ufficio dei 16 missini padovani arrestati dal capo della squadra mobile di Padova, commissario Juliano, come autori dei 9 attentati dinamitardi compiuti nella città fra l'inverno del '68 e la primavera del '69. All'uscita dell'opuscolo comunque, l'istruttoria contro i neo fascisti era già stata interrotta dall'alto ed il commissario Juliano trasferito a Ruvo di Puglia, in attesa di provvedimenti disciplinari, per "irregolarità nelle indagini e abuso di potere". Lo stesso commissario, alcuni mesi prima, aveva fatto perquisire uno dei tanti "campeggi" organizzati dal Fronte Nazionale nella vicina cittadina di Cornuda, sequestrando un ingente quantitativo di armi e di esplosivi.

(11) Fascista fin da giovanissimo, I'editore trentenne Giovanni Ventura subisce, nell'autunno del '69. un improvvisa conversione. In settembre avvicina, a Roma. uno scrittore che sta progettando la traduzione commentata di alcune opere anarchiche inedite, si dichiara favorevole all'iniziativa e si offre di finanziarla: un testo di Stirner inaugurerà la collana. Tra ottobre e novembre avvicina alcuni giovani anarchici del circolo Bakunin di Via Baccina ai quali chiede informazioni sull'attività svolta e sui programmi futuri. Otto giorni dopo gli attentati, il 20 dicembre, la polizia perquisisce la sua abitazione di Treviso e la libreria, sequestrando alcuni fucili, una pistola e due cassette di munizioni. Il 18 dicembre un suo amico, il professore democristiano Guido Lorenzon, aveva denunciato al dott. Calogero, sostituto procuratore di Treviso, di aver ricevuto da lui alcune confidenze relative agli attentati. Alla fine di dicembre il Ventura è di nuovo a Roma; chi l'ha visto in quel periodo afferma che appariva distrutto psicologicamente. Nel febbraio del '70 alcuni giornali rivelano le accuse rivoltegli dal prof. Lorenzon. Secondo le dichiarazioni di quest'ultimo il Ventura gli avrebbe confidato:
1) in settembre, che gli attentati sui treni dell'agosto '69 erano stati finanziati da lui e da altre due persone ed erano costati circa un milione tra "materiale" e "rimborso spese" ai nove fascisti che li avevano eseguiti;
2) in ottobre, che era da tempo in contatto con un'organizzazione paramilitare che aveva in programma l'uccisione di parlamentari, sindacalisti, etc. e l'instaurazione violenta di un regime ispirato al fascismo "sociale" della repubblica di Salò; uno dei suoi tramiti con l'organizzazione - che contava molti aderenti tra gli ufficiali delle varie armi - era un conte che risiedeva in provincia di Milano;
3) in novembre. che avrebbe dovuto recarsi in Grecia per ottenere finanziamenti dalla Giunta dei Colonnelli;
4) dopo il 12 dicembre, che aveva partecipato alle riunioni in cui erano stati organizzati gli attentati ma che, all'ultimo momento, di fronte alla prospettiva di una strage - che doveva fra l'altro essere di "maggiori proporzioni" - si era tirato indietro. (In questa occasione avrebbe descritto minuziosamente il sottopassaggio della Banca Nazionale del Lavoro di Roma e il punto esatto dove era esploso l'ordigno). Nonostante le dichiarazioni del prof. Guido Lorenzon fossero state rilasciate alla Magistratura nei giorni immediatamente successivi alla strage, il Ventura è stato interrogato dagli inquirenti romani soltanto due mesi dopo. quando cioè esse erano state divulgate su tutti i giornali. Non essendo stato inoltrato alcun procedimento contro di lui, si deve supporre che nulla sia emerso a suo carico. Nell'aprile del '70, circa quattro mesi dopo essere venuto a conoscenza delle accuse rivoltegli dall'amico, il Ventura lo ha querelato per diffamazione, affermando che il Lorenzon è un mitomane il quale ha frainteso il contenuto, puramente ipotetico, di alcuni giudizi critici da lui espressi sull'opera letteraria di Celine, Comunque, almeno su un punto, la "mitomania" del prof. Lorenzon trova nella realtà un riscontro obiettivo: in una villa ad Arcore, in provincia di Milano, vive il conte M .B.. uno fra i più attivi promotori di Italia Sociale, l'organizzazione fascista, fiancheggiatrice del Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese. che si richiama apertamente alla "socialità" dei diciotto punti di Verona e che ha stretti contatti - come risulta da un suo bollettino interno. riservato agli aderenti  - con l'altra organizzazione fascista "Costituente Nazionale Rivoluzionaria" fondata, nel novembre del '67, dall'ex esponente socialdemocratico Giacomo De Sario.(Un membro di rilievo della C.N.R.. il pittore Walter Criminati. nell'estate del '69 frequentava assiduamente, a Milano Nino Sottostanti, Serafino Di Luia e Giorgio Chiesa). Nella villa del conte. che è un ex repubblichino di Salò, si sono tenute nell'autunno-inverno del '69, frequenti riunioni di industriali e militari alle quali - almeno in due occasioni - ha preso parte anche Junio Valerio Borghese. In merito alle date precise in cui esse si svolsero esistono le interessanti testimonianze di alcuni tassisti.

(12) Reggio Emilia è al centro di un intenso traffico di armi da parte dei fascisti della provincia. Alcuni di essi. tutti del "giro" di Paolo Pecoriello e Bruno Giorgi. sono incorsi negli ultimi mesi in "spiacevoli avventure". A detta della cittadinanza reggiana si tratta comunque di "pesci piccoli". Il 29 settembre '69 il figlio del deputato liberale di Reggio, on. Ferioli, viene trovato ucciso da un colpo di Smith & Wesson. Durante il sopralluogo nell'appartamento i carabinieri rinvengono un ingente quantitativo di armi e munizioni. Un'inchiesta sulla loro provenienza, aperta dalla locale Procura della Repubblica dopo un mese. in seguito ad una interpellanza di parlamentari comunisti, viene archiviata con un nulla di fatto. Il 18 dicembre viene denunciato per detenzione abusiva di armi da guerra un fascista del quale non viene reso noto il nome. Il 30 dicembre il missino Agostino Bossi viene arrestato e processato perchè trovato in possesso di un. ingente quantitativo di armi da guerra. Il 14 febbraio 1970 al fascista Siro Brugnoli fermato dai carabinieri di Guastalla ad un posto di blocco viene sequestrato un carico di armi nascoste nel bagagliaio dell'auto. Nella sua abitazione di Reggio vengono rinvenuti: 12 fucili automatici, 20 pistole un mitra, una mitragliatrice tedesca con relativo treppiede, casse di munizioni, bombe a mano ANANAS, 5 cariche di dinamite, 250 detonatori, 40 metri di miccia a lenta combustione. Il Brugnoli, che nel bar Varolli di Reggio è stato udito più volte vantare stretti rapporti con alcuni colonnelli greci della base NATO di Napoli, dichiarerà, nel corso del processo, di essere un collezionista. Condannato a due anni di carcere, verrà rimesso in libertà dopo un mese.

(13)  L'avvocato Giuseppe Pasquarella nel 1966 viene arrestato a Milano ed espulso dall'Ordine degli Avvocati. Si trasferisce a Ravenna, feudo del petroliere-editore-zuccheriere Attilio Monti e quindi, nel 1968, a Rimini.In breve tempo diviene ricchissimo: acquista una villa in località "La Grazia", apre un albergo-ristorante ed uno studio al centro di Rimini in via Mentana 19. Stringe amicizia con Giovannini (torrefazioni) e Savioli (alberghi e nights a Riccione), noti finanziatori del M.S.I. locale, di cui egli è uno dei più autorevoli esponenti. Frequenta assiduamente il vice-commissario della Questura di Rimini. Quando Panorama uscì con le dichiarazioni di Gian Luigi Fappani, tutte le copie della rivista scomparvero la mattina stessa dalle edicole di Rimini.

(14) Nella tarda serata di giovedì 11 dicembre il Crocesi telefonò da Roma ad un altro fascista riminese, tale Tomasetti, avvertendolo che era in procinto di partire per Milano.

(15) Memoriale autografo rilasciato dal Fappani al Movimento Studentesco Milanese il 18 3-1970. "Fui assoldato dal SID con il ricatto. Avevo accumulato reati per 20 anni di carcere. Mi invitarono a presentarmi in Piazzale Loreto dal Maresciallo dei C.C. Rocco. In Corso Buenos Aires dovevo consegnare delle piantine militari ad un ufficiale cecoslovacco (n.d.a.: la provocazione non riuscì). Il primo lavoro a favore del SID fu una lista con gli estremi dei dirigenti del Movimento Studentesco Milanese in collaborazione con Giovanni Ettore Borroni (n.d.a.: un attivista missino del FUAN.Caravella trovato morto, in circostanze misteriose, nell'autunno del '68). Giornalmente ricevevo istruzioni sui compiti da svolgere e. ogni settimana, consegnavo agli agenti del SID una relazione divisa in tre punti: A) relazione politica, B) situazione attivisti; C) situazione organizzativa. Ho consegnato inoltre vario materiale di propaganda fornendo gli indirizzi dei vari collaboratori e le indicazioni necessarie ad individuarli. Confermo che gli appartenenti al SID sono ancora gli agenti del SlFAR e che la repressione viene organizzata senza autorizzazione ufficiale del Ministero. Ho avuto l'incarico di vendere bombe lacrimogene e fumogene al Movimento Studentesco allo scopo di dare al SID il motivo per la repressione (n.d.a.: questa proposta, fatta dal Fappani ad alcuni militanti del M.S. nel febbraio del '69, gli costò il "posto" giacchè fu individuato come provocatore ed allontanato). Confermo che al mio posto. a livello della attuale dirigenza, il SID ha un suo informatore. Dichiarando ciò aggiungo che ho ricevuto da parte del SID la minaccia di pagarla cara".

(16) Nel marzo del '68 era con i fascisti reclutati da Caradonna per dare l'assalto alla facoltà di Lettere e, in quell'occasione. fu arrestato.

(17) Tra l'agosto e il dicembre del 1969 Pietro Valpreda fu interrogato otto volte dalla polizia in merito a questi attentati.

(18) E' il figlio di un avvocato romano. Gira armato di pistola e vanta rapporti con ufficiali americani della base NATO di Verona. Nell'estate ed autunno del '69 prende contatti con i fascisti di Milano e, contemporaneamente, fa frequenti viaggi in Germania. Con Chiesa e Fappani discute l'organizzazione di squadre anticomuniste addestrate militarmente.

(19) I due avvicinarono il Fappani dopo che nella stampa apparvero le sue prime dichiarazioni e, oltre a promettergli dei soldi, gli fecero notare che "i camerati ce l'avevano con lui per il tradimento" e che quella "era l'occasione ideale per riscattarsi". Lascia davvero, perplessi lo zelo dimostrato.

(20) Se ha fallito nel suo compito di spingere gli anarchici del 22 Marzo a compiere attentati terroristici, Mario Merlino può aver comunque fornito all'"esterno" del gruppo quelle informazioni (ad esempio: i discorsi velleitari di Roberto Mander sulla necessità di "far saltare in aria" l'Altare della Patria; la professione del padre di Roberto Gargamelli. cassiere alla Banca Nazionale del Lavoro dov'è stato collocato un ordigno: la partenza di Pietro Valpreda per Milano) indispensabili per organizzare gli "attentati" a misura degli anarchici. Se esistessero ulteriori dubbi al proposito. basterà citare alcuni brani del verbale dell'interrogatorio a cui fu sottoposto  Merlino nell'ufficio politico della questura romana dopo la serie di attentati fascisti ai distributori di benzina. Da essi risulta oltretutto, in modo inequivocabile, come la polizia fosse al corrente del ruolo da lui svolto nell'ambito della sinistra extra-parlamentare. "... Affermo di conoscere un giovane che si chiama Sestili (n.d.a.: è il fascista che tentò d'infiltrarsi nel P.s.d'I. e che fu in seguito arrestato per alcuni attentati) a me noto con il nome di "Polenta". Giorni fa gli fornii dietro sua richiesta. un numero telefonico che corrisponde a Sandro Pisano, via dei Cartari 11, tel. 6567923. Fornii quel numero perchè il Pisano è uno dei pochi elementi di destra con il quale mantengo contatti per motivi politici. ( ... ) Non so se riferisse le notizie che gli passavo a Stefano Delle Chiaie. Ero invece convinto che lavorasse per altri in quanto, sentendolo parlare del "vecchio"
credevo si riferisse a Valerio Borghese, il Presidente del Fronte Nazionale...". Sandro Pisano, subito dopo gli attentati. ha pregato una ragazza, R.C. di non parlare dell'appartamento di via Tamagno, a lei noto. Lo stesso ha fatto Mario Merlino con
alcuni camerati, facendo "filtrare" la raccomandazione da Regina Coeli. Il giorno successivo alla localizzazione dell'appartamento da parte di chi ha condotto questa contro inchiesta, è scomparsa la targhetta con il cognome Di Luia dalla colonnina prospiciente il numero civico 43. la targhetta della cassetta delle lettere e quella accanto alla porta sul pianerottolo. Sandro Pisano - infiltratosi più volte nei cortei del Movimento Studentesco in coppia con un altro fascista. Tonino Fiore - è un
attivo militante di Avanguardia Nazionale e di Ordine Nuovo. Lui e il fratello maggiore Franco, Presidente di Nuova Caravella - l'organizzazione di estrema destra che "decorò" il Ministro degli Interni greco Pattakòs con il proprio distintivo -vantano ottime "entrature" nel SID. Franco Pisano, in varie occasioni, confidò di aver avuto l'incarico di indagare sul viaggio a Cuba dell'estate dei '68 di un gruppo di studenti e assistenti della facoltà di Architettura di Roma.

(21) Quando i giornali pubblicarono che egli era ricercato dalla polizia il Di Luia spedì a una ragazza sua amica una lettera che ne conteneva un'altra. affrancata da Monaco di Baviera, ed alcune istruzioni: "Se vengono a cercare di me, di che hai ricevuto posta da Monaco".

(22) In quel periodo fu segnalato in Italia Savvas Costantinopoulos, il columnist ufficiale dei governo di Atene.

(23) Si veda in appendice il testo completo del "rapporto".

(24) Europa Civiltà è sorta nel 1968 dal Movimento Integralista, un'organizzazione di fascisti "evoliani" molto legati alla destra democristiana e in particolare al deputato Agostino Greggi. Presidente è Loris Facchinetti. intimo amico di Mario Merlino e Serafino Di Luia. Il vero ispiratore a livello internazionale è il giornalista belga Jean Thiriart. condannato all'ergastolo per collaborazione coi nazisti durante l'occupazione militare. Thriart è strettamente legato ai colonnelli greci, a esponenti dei MSI,
a un noto editore milanese e a un gesuita che ricopre una importante carica nella Congregazione. Europa Civiltà gode di finanziamenti massicci. Organizza campeggi paramilitari in cui istruttori tedeschi tengono corsi di controguerriglia. I suoi campi base sono a Palombara Sabina, sul monte Vettore, nel parco Nazionale d'Abruzzo, sul monte Faito, sul monte Meta. Organizza anche corsi di paracadutismo con l'aiuto dell'Associazione Nazionale Paracadutisti che ha messo a disposizione la sua palestra romana di via S. Croce in Gerusalemme. A differenza di altre organizzazioni neofasciste non promuove azioni squadristiche e scongiura i suoi iscritti - circa 3.000 in tutta Italia - dal prendervi parte. La clamorosa manifestazione
di "protesta" messa in atto da due suoi aderenti che si sono incatenati nei magazzini Gum di Mosca è stata concordata da un agente del regime greco in un albergo di via Veneto a Roma. Due giorni prima dell'"azione russa" infatti un altro iscritto a Europa Civiltà aveva distribuito volantini di protesta in una strada di Atene ed era stato immediatamente espulso dalla
Grecia: ciò, nell'intenzione degli organizzatori, avrebbe dovuto dimostrare la maggiore liberalità del regime dei colonnelli rispetto a quello sovietico. Nell'autunno 1969 i dirigenti di Europa Civiltà hanno tenuto numerose riunioni congiunte con quelli di Ordine Nuovo, del Fronte Nazionale e di Avanguardia Nazionale nella sede di Largo Brindisi 18 a Roma. Il capo dell'ufficio politico della questura della capitale ha definito "pacifici escursionisti" gli iscritti a Europa Civiltà, in una intervista apparsa sul settimanale Epoca.


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