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LA POSIZIONE DI SERGIO MINETTO

Sergio MINETTO è stato interrogato molte volte sia da questo Ufficio sia dal Pubblico Ministero il quale, proprio con l’incriminazione di MINETTO per il reato di falsa testimonianza, ha aperto nel maggio 1995 il procedimento 6071/95 R.G.N.R. nel quale sono successivamente confluiti gli atti e le incriminazioni relative alla strage di Piazza Fontana.

Sergio MINETTO è stato infatti sentito una prima volta il 17.5.1995 in qualità di testimone sulla base delle prime dichiarazioni di Carlo DIGILIO e, arrestato per falsa testimonianza con provvedimento del G.I.P. di Milano in data 19.5.1995, è stato ancora sentito da questo Ufficio in data 22.5.1995 e dal Pubblico Ministero in data 2.6.1995.

Dopo la sua scarcerazione egli è stato ancora sottoposto a due articolati interrogatori in data 24.5.1996 (e nel medesimo giorno si è svolto il confronto con Gastone NOVELLA) e in data 20.6.1997, durante i quali gli sono stati dettagliatamente contestati tutti gli elementi che via via erano emersi dalle dichiarazioni di Carlo DIGILIO e di altre persone e dai riscontri effettuati.

La linea scelta da Sergio MINETTO, sin dalla sua prima deposizione, è stata quella dell’assoluta reticenza e dell’assoluto rifiuto di narrare la sua esperienza politica e di collaborazione con strutture di informazione straniere, anche a prescindere dalla rilevanza penale di tale attività, e di rispondere alle domande con affermazioni al limite dell’inverosimile, dipingendosi sempre come un modesto e innocuo riparatore di frigoriferi che non comprendeva le ragioni dell’interesse degli investigatori nei suoi confronti.

In sintesi, MINETTO ha affermato di non essersi interessato di politica dopo la fine della guerra, durante la quale aveva prestato servizio nella Marina della R.S.I., limitandosi per alcuni anni ad essere iscritto al P.S.D.I.

Ha dichiarato di aver frequentato su un piano amichevole, a Colognola ai COLLI, Bruno a Marcello SOFFIATI ammettendo poi, faticosamente, la conoscenza con Giovanni BANDOLI, ma di non aver nemmeno mai visto il suo "accusatore" Carlo DIGILIO.

Ha dichiarato di aver conosciuto occasionalmente, una volta, a metà degli anni ‘60 durante una sagra paesana, il dr. MAGGI, presentatogli da Bruno SOFFIATI, e di non essersi mai recato a Venezia, nemmeno per lavoro, né all’estero in nessuna circostanza, a parte un periodo trascorso in Argentina per ragioni di lavoro.

Quanto alla sua frequentazione delle basi americane, egli ha riconosciuto di essere entrato qualche volta nelle basi americane di Verona e di Affi, ma solo per riparare frigoriferi.

Raramente la linea difensiva di un imputato è stata, tuttavia, progressivamente smentita in maniera così clamorosa e definitiva, anche se, dinanzi alle progressive acquisizioni che l’Ufficio gli contestava, Sergio MINETTO non ha minimamente modificato il proprio atteggiamento, comportandosi da vero agente di un servizio informativo il quale, pur da tempo in congedo, continua a tutelare la struttura per cui ha lavorato.

In sintesi:

- La non conoscenza di Carlo DIGILIO da parte di Sergio MINETTO, a parte ogni considerazione sui numerosi particolari forniti dal collaboratore in merito alla sua persona, tutti rivelatisi pertinenti, è stata documentalmente smentita dall’acquisizione delle fotografie del pranzo di nozze di Marcello SOFFIATI e Anna Maria BASSAN, avvenuto nel 1973 (cfr. fotografie allegate alla deposizione di quest’ultima dinanzi al P.M., 8.6.1995, vol.25, fasc.1, ff.30 e ss.).

In tali fotografie si nota Sergio MINETTO, testimone della sposa, seduto allo stesso tavolo in cui siede Carlo DIGILIO e quasi dinanzi a lui.

La circostanza è resa ancor più significativa dal fatto che al pranzo erano presenti solo i parenti stretti e pochi amici intimi fra cui (oltre a DIGILIO) Giovanni BANDOLI, anch’egli appartenente alla rete informativa, e Dario PERSIC (dep. BASSAN citata, f.2; int . DIGILIO, 6.11.1995, ff.4-5).

- Perdipiù Gastone NOVELLA, impiegato al Casinò del Lido di Venezia, simpatizzante del gruppo di Ordine Nuovo di tale città e anch’egli frequentatore della casa di Bruno SOFFIATI a Colognola ai Colli, ha ricordato di essere stato accompagnato insieme a DIGILIO proprio da Sergio MINETTO sull’autovettura di questi, al termine di un incontro, da Colognola alla stazione ferroviaria di Verona (dep. NOVELLA, 11.2.1996, f.2).

Quel giorno Sergio MINETTO aveva raccontato di essere stato in contatto, durante la sua permanenza in Sud-America, con ambienti di esuli tedeschi che avevano lasciato il loro Paese dopo la sconfitta del regime nazista (dep. citata, f.5).

Gastone NOVELLA ha confermato tali circostanze anche durante il confronto sostenuto con Sergio MINETTO il 24.5.1996, indicando anche esattamente la marca dell’autovettura, una Renault, di cui MINETTO disponeva.

- Sergio MINETTO, al fine di giustificare come casuale la sua presenza in alcune basi americane ed esclusivamente legata alla riparazione di frigoriferi, ha dichiarato di essere stato appunto occasionalmente introdotto in tale ambiente da un Carabiniere a nome LIPPOLIS, abitante nel suo stesso stabile e all’epoca in servizio presso la base SETAF di Verona (int. MINETTO, 22.5.1995, ff.2-3).

Il carabiniere Angelo LIPPOLIS, sentito in data 30.5.1995, ha invece spiegato di non aver mai prestato servizio presso la base SETAF, ma solo presso il Comando Gruppo dell’Arma di Verona ed ha pertanto escluso recisamente di aver mai introdotto MINETTO in basi americane per motivi connessi a riparazioni di frigoriferi, mettendo così nel nulla il tentativo di MINETTO di dipingere come casuale tale sua presenza.

- Carlo DIGILIO ha più volte dichiarato, nel corso dei suoi interrogatori, che Sergio MINETTO era stato più volte inviato in missione all’estero per conto della struttura informativa tessendo, anche in tali occasioni, i contatti che questi aveva attivato durante il suo lavoro di copertura in Italia, appunto come frigoriferista

Sergio MINETTO ha negato di essersi mai recato all’estero dopo il suo ritorno dall’Argentina, ma, durante la perquisizione effettuata nel maggio 1995 nella sua abitazione, sono state ritrovate due lettere risalenti al 1987 trasmesse dal Governo del Land della Svevia concernenti la richiesta di documenti da parte di tale Governo in relazione ad una pensione che poteva essere riconosciuta allo stesso MINETTO per attività lavorative svolte nella Germania Occidentale.

Tale questione non ha potuto essere ulteriormente approfondita anche per la scarsa collaborazione fornita dalle Autorità tedesche, pur investite di una formale rogatoria avanzata da questo Ufficio (cfr. vol.21, fasc.6), ma rimane il dato inequivoco di passate presenze, non a caso negate, di Sergio MINETTO nella Germania Occidentale e cioè in uno dei Paesi cardine della struttura difensiva della N.A.T.O. ove si tenevano, come ricordato anche dal colonnello Amos SPIAZZI, corsi di istruzione e di addestramento sotto il patrocinio delle strutture militari americane.

- Una delle poche circostanze ammesse da Sergio MINETTO, e sarebbe del resto stato difficile il contrario, sono i rapporti strettissimi, quasi di devozione, che egli aveva sempre coltivato con il commercialista veronese Giancarlo GLISENTI, cui egli aveva fatto quasi quotidianamente visita, come risulta anche dai servizi di osservazione del R.O.S. (cfr. vol.46, fasc.8, ff.70 e ss.) nella primavera del 1995, poco prima che il dr. GLISENTI decedesse per una grave malattia.

Con il dr. GLISENTI, del resto, Sergio MINETTO aveva diviso l’infanzia in quanto sua madre ne era stata la balia e il padre il giardiniere della sua villa, cosicchè MINETTO era rimasto sempre l’uomo di fiducia di tale importante famiglia veronese (dep. MINETTO 17.5.1995, f.3; int. 22.5.1995, f.3).

Il dr. Giancarlo GLISENTI era del resto figlio di Giovanni GLISENTI, Podestà di Colognola ai Colli nel ventennio fascista.

Esaminando il fascicolo intestato al commercialista presso il Comando Provinciale Carabinieri di Verona, veniva rinvenuto un appunto dattiloscritto contenente informazioni a fini di sicurezza sul conto del dr. GLISENTI, con una annotazione manoscritta del seguente tenore: "appunto consegnato in data 26.4.1965 al Comando CC FTASE".

Tale appunto è quindi collegato ad una procedura volta a verificare il grado di affidabilità del dr. GLISENTI e può avere solo due spiegazioni.

Chi aveva chiesto le informazioni al Comando dei Carabinieri all’interno della base FTASE della N.A.T.O. si proponeva o di verificare la figura di una persona molto vicina a Sergio MINETTO, allo scopo di controllarne le frequentazioni, o, più probabilmente, stava valutando la possibilità di inserire il dr. GLISENTI, che poteva essere molto utile in ragione della sua attività professionale, nella stessa struttura di cui già faceva parte Sergio MINETTO (cfr. annotazione del R.O.S. in data 8.5.1995, vol.23, fasc.9, f.87).

Perdipiù il giorno successivo alla morte del dr. GLISENTI, il 3.4.1995, veniva intercettata sull’utenza di casa MINETTO una interessante conversazione fra la moglie di MINETTO e sua sorella (cfr. vol.46, fasc.9, ff.1 e ss.).

Le due donne stavano dialogando della morte di GLISENTI e ad un certo punto Giovanna MILANI, moglie di MINETTO, aveva affermato che "l’americano" l’aveva chiamata circa un’ora prima e che lei gli aveva riferito di aver saputo della morte del dr. GLISENTI e che Sergio MINETTO per tale ragione si trovava in Ospedale.

E’ quindi estremamente significativo che anche la persona più legata, anche sul piano umano, a Sergio MINETTO, e cioè il dr. Giancarlo GLISENTI, fosse stato sin dal 1965 oggetto di interesse per il Comando FTASE di Verona e che la sua morte abbia subito registrato la presenza e l’interessamento di un "americano" rimasto sconosciuto.

In qualsiasi punto e sotto qualsiasi profilo sia stato possibile verificare l’attività e i contatti di Sergio MINETTO, compatibilmente con il tempo trascorso e la scontata mancanza di collaborazione delle Autorità cui egli faceva riferimento, la ricerca ha invariabilmente portato alla struttura e agli ambienti ampiamente descritto da Carlo DIGILIO.

- Anche Martino SICILIANO ha contribuito a smontare la linea difensiva di Sergio MINETTO, secondo la quale egli non avrebbe avuto alcun contatto con il gruppo ordinovista veneziano né si sarebbe mai recato a Venezia nemmeno per ragioni di lavoro.

Martino SICILIANO ha infatti ricordato di aver visto MINETTO un paio di volte a Colognola ai Colli, insieme al dr. MAGGI e a Delfo ZORZI, e un paio di volte anche a Venezia, a casa del dr. MAGGI e ad una riunione, nel 1968 fra militanti di Ordine Nuovo (presenti MAGGI, ZORZI e SOFFIATI) ed ex-repubblichini, a casa dell’esponente della R.S.I. Mario CENTANNI, al fine di concordare un’azione comune nella campagna per la scheda bianca che doveva essere condotta alle elezioni politiche di quell’anno (int. SICILIANO, 1°.6.1996, ff.2-3).

Inoltre le fotografie di Sergio MINETTO con un garofano rosso all’occhiello, al matrimonio di Marcello SOFFIATI, hanno ricordato a Martino SICILIANO una serie di battute scherzose che erano circolate nell’ambiente in merito ad un camerata che, ammiccando al garofano rosso che portava, aveva finto di essere un "compagno".

Si trattava quasi certamente di Sergio MINETTO, che effettivamente si era iscritto al P.S.D.I., iscrizione che, dopo la scissione di tale partito dal P.S.I., era una delle più semplici coperture nella vita civile per gli elementi di destra.

Infatti sotto la guida dell’on. TANASSI, tale Partito, pur essendo formalmente socialdemocratico, aveva avviato una linea politica decisamente di destra e favorevole agli americani, cosicché l’iscrizione al P.S.D.I. era un comodo espediente per continuare a fare una politica di destra con un’etichetta (simboleggiata appunto da simboli come il garofano rosso) che permetteva di non esporsi (int. SICILIANO, 1°.6.1996, ff.3-4).

L’utilizzo di tale copertura è stato riferito anche da Carlo DIGILIO, anch’egli a conoscenza dell’iscrizione di Sergio MINETTO al P.S.D.I. e del suo significato. (int. 14.7.1996, f.3).

- Nell’interrogatorio in data 24.5.1996, Sergio MINETTO, rispondendo ad una domanda relativa alle ditte con le quali era in contatto nel campo dell’attività di riparazione dei frigoriferi, ha fatto cenno, fra le altre, alla DETROIT della zona di Padova, una ditta italiana anche se aveva un nome straniero (f.6).

Tale circostanza, sfuggita a MINETTO proprio alla conclusione dell’interrogatorio, è di grande importanza.

Infatti la ditta DETROIT, che si occupava della produzione di frigoriferi e che disponeva di un capannone a Monfalcone e di un ufficio vendite a Padova, era di fatto diretta da uno dei suoi soci, l’italoamericano Leo Joseph PAGNOTTA.

Leo Joseph PAGNOTTA, secondo il racconto di Carlo DIGILIO confermato dagli atti forniti dal S.I.S.Mi., altri non era che colui il quale, insieme a Joseph LUONGO, aveva costituito sin dall’immediato dopoguerra la rete informativa americana nel Nord-Est d’Italia, quale capo a Trieste del Counter Intelligence Corp di cui erano entrati a far parte proprio Sergio MINETTO e il prof. Lino FRANCO (cfr. ampiamente, sulla figura di PAGNOTTA, l’annotazione del R.O.S. in data 26.6.1997 sulla struttura di intelligence statunitense, vol.23, fasc.23, ff.56-60).

Il capannone di Monfalcone, sempre secondo il racconto di Carlo DIGILIO, era frequentato da MINETTO e dal prof. Lino FRANCO per attività che dovevano svolgersi in condizioni di copertura e di sicurezza e Leo Joseph PAGNOTTA, sovente citato nelle discussioni che si svolgevano a Colognola ai Colli, a metà degli anni ‘70 era ancora considerato uno degli elementi più importanti che stavano alle spalle degli elementi della rete veronese.

Ancora una volta, quindi, il quadro fornito da Carlo DIGILIO ha avuto un preciso riscontro e ogni contatto, apparentemente innocente e collegato solo ad attività lavorative, di Sergio MINETTO riporta all’ambiente della struttura di intelligence statunitense.

- A definitiva confutazione del tentativo di Sergio MINETTO di dipingersi come un tranquillo riparatore di frigoriferi devono aggiungersi le dichiarazioni rese sulla sua figura da altri frequentatori della trattoria e della casa della famiglia SOFFIATI a Colognola ai Colli: il camionista Dario PERSIC e Benito ROSSI, indicato da DIGILIO quale "antenna" nel Trentino-Alto Adige della rete informativa americana.

Dario PERSIC, con riferimento alla figura di Sergio MINETTO, ha infatti dichiarato che questi aveva partecipato, all’inizio degli anni ‘70, ad una riunione svoltasi nella casa dello stesso PERSIC a Verona, presenti il dr. MAGGI, DIGILIO e Marcello SOFFIATI, ove si era parlato di un mutamento istituzionale che sarebbe avvenuto nel giro di breve tempo con l’aiuto degli americani e partecipava altresì ai "solstizi", cerimonie di ispirazione nazista che si tenevano nei pressi della trattoria di Colognola con la partecipazione anche del colonnello SPIAZZI (dep. PERSIC, 8.2.1995, ff.2-3).

Sergio MINETTO era altresì al corrente della presenza, all’inizio del 1972, dell’avv. Gabriele FORZIATI di Trieste nell’appartamento di Via Stella (dep. PERSIC citata, f.3).

Inoltre, con riferimento alla partecipazione di MINETTO all’attività della rete informativa, egli frequentava, insieme a Giovanni BANDOLI e Benito ROSSI, il "PICCOLO HOTEL" di Verona, punto di incontro dei militari americani per riunioni riservate (dep. PERSIC, 7.4.1997, f.2), circostanza questa confermata anche da Carlo DIGILIO (int. 13.4.1997, f.2).

In sostanza Dario PERSIC ha collocato Sergio MINETTO, in base alle notizie che aveva appreso durante la frequentazione del gruppo di Colognola, ad un livello medio-alto della struttura informativa, al di sopra di Carlo DIGILIO, Marcello SOFFIATI e Benito ROSSI (dep. PERSIC, 7.4.1997, f.3).

Benito ROSSI, dal canto suo, ha riferito che sia Sergio MINETTO sia Marcello SOFFIATI gli avevano confidato esplicitamente di far parte di strutture informative americane, che i due si recavano insieme frequentemente alla base N.A.T.O. di Vicenza e che Sergio MINETTO frequentava stabilmente il PICCOLO HOTEL di Verona, già ricordato da Dario PERSIC come punto di incontro dei militari americani (dep. Benito ROSSI, 10.4.1997, ff.3-4; 21.5.1995, ff.1-2).

Con riferimento a tale albergo è stato rintracciato e sentito Nello DOLCI, barista al Piccolo Hotel all’inizio degli anni ‘70, che ha confermato che all’epoca l’albergo era quasi interamente occupato da militari della caserma Passalacqua di Verona in virtù di una speciale convenzione che era durata sino alla metà degli anni ‘70, quando il Comando SETAF era stato trasferito a Vicenza, rimanendo a Verona solo il Comando Centrale della FTASE di Via Roma (dep. DOLCI, 8.4.1997 a personale del R.O.S.).

In conclusione, non vi è veramente alcun dubbio che Sergio MINETTO fosse un componente della struttura informativa dipendente dal Comando FTASE di Verona, con un incarico medio-alto, gestendo in prima persona una rete di informatori italiani, cui erano alcune volte affidati anche compiti operativi, ed avendo come diretto superiore, all’interno della struttura, un ufficiale americano.

Il problema che si pone ai fini della presente istruttoria è, ovviamente, quello della rilevanza penale di una simile attività con riferimento alla tutela degli interesse interni del nostro Paese e all’eventuale messa in pericolo della nostra collettività e del nostro sistema istituzionale.

Sotto tale profilo è evidente che svolgere attività informativa per un Paese straniero, perdipiù alleato e legato al nostro Paese da uno stabile accordo internazionale quale il Patto Atlantico, non costituisce reato ogniqualvolta tale attività abbia per fine ed oggetto la tutela degli interessi militari o di sicurezza delle strutture militari di quel Paese o della N.A.T.O., regolarmente presenti sul nostro territorio, o comunque attenga più in generale alla difesa o allo sviluppo degli interessi politico/strategici insiti in tale rapporto di alleanza e di integrazione politico/militare.

Alla luce di tale interpretazione, che è l’unica in grado di integrare il precetto penale nel contesto storico/politico, è certo che alcune delle "operazioni" coordinate da Sergio MINETTO, descritte da Carlo DIGILIO (ed elencate a MINETTO nella parte introduttiva dell’interrogatorio in data 20.6.1997), non costituiscono di per sè reato in quanto in assonanza con le linee stabilite dai nostri rapporti di alleanza o comunque neutre o inidonee a ledere gli interessi interni del nostro Paese.

Ci riferiamo, ad esempio, al tentativo di recuperare l’esplosivo rubato a Boscochiesanuova che poteva, in ipotesi, essere utilizzato contro basi americane; all’assunzione di informazioni sulla situazione alto-atesina negli anni del terrorismo irredentista; alla raccolta di informazioni sugli elementi di estrema sinistra dell’Università di Venezia (attività discutibile, ma tipica dell’epoca anche per i nostri Servizi); al tentativo di rintraccio del luogo ove si trovava il generale DOZIER, rapito dalle Brigate Rosse; nonché a missioni sviluppatesi prevalentemente all’estero quali l’invio di Carlo DIGILIO a Madrid presso l’ing. POMAR e i contatti con elementi ustascia in Cecoslovacchia e in Spagna, anche al fine di sostenerne la struttura logistica e militare in funzione anticomunista.

In alcuni di questi casi la linea di demarcazione fra attività di intelligence militare e attività illecita è veramente sottile (si pensi all’invio di armi a Cipro, agli uomini del generale GRIVAS, tramite il nucleo SIGFRIED di ex-repubblichini facente capo al prof. Lino FRANCO) e si porrebbe anche il problema dell’eventuale mancanza di accredito presso le nostre parallele strutture di sicurezza dell’agente straniero operante, ma comunque non ci si trova dinanzi ad attività definibili come eversive o contrastanti con la sicurezza del nostro Paese.

In altre "operazioni" descritte da Carlo DIGILIO, invece, la situazione è decisamente diversa.

Non era e non è consentito raccogliere, in favore della struttura informativa, come è avvenuto sotto la direzione di Sergio MINETTO, liste di elementi veneti affidabili, normalmente ex-repubblichini o comunque esponenti dell’estrema destra, da utilizzarsi nel caso di un illegale mutamento istituzionale nel nostro Paese (int. DIGILIO, 20.1.1996, f.3) o comunque in azioni di contrasto dell’attività delle forze politiche di sinistra.

Non è ovviamente consentito inviare per ben tre volte un emissario (Carlo DIGILIO, accompagnato in una occasione dal prof. FRANCO) in una base eversiva quale il casolare di Paese, gestito dagli ordinovisti padovani e veneziani, non solo per "visionarne" la dotazione di armi ed esplosivi, ma anche per offrire la propria "consulenza tecnica" nell’approntamento degli inneschi degli ordigni che stavano per essere collocati su 10 convogli ferroviari nell’agosto 1969.

Non è consentito sovraintendere ad operazioni di pretta marca eversiva quali il "trasporto" dell’avv. Gabriele FORZIATI prima a Colognola e poi in Via Stella a Verona e l’addestramento, anche psicologico, di Gianfranco BERTOLI, sempre nell’appartamento di Via Stella.

Ancora più grave è l’anticipazione fatta dal dr. MAGGI a Sergio MINETTO, durante un incontro a Colognola ai Colli, circa 10 giorni prima della strage di Brescia, in merito ad un grosso attentato terroristico che il gruppo di Ordine Nuovo stava per compiere (int. DIGILIO, 19.4.1996, f.3, e 4.5.1996, f.3).

In tutti questi casi, anche a concedere che Sergio MINETTO sia stato solo un recettore di notizie e non uno stimolatore degli avvenimenti che via via vedevano quali protagonisti i militanti di Ordine Nuovo con cui era in contatto, non vi è traccia del fatto che Sergio MINETTO o i suoi superiori abbiano informato le nostre Autorità dei gravi pericoli che l’azione di tale gruppo costituiva per la collettività.

Non vi è infatti traccia, nonostante gli approfondimenti documentali effettuati, di una messa in allarme né a livello degli Organi di p.g. italiani né a livello dei nostri servizi di sicurezza, sempre che ciò non sia avvenuto in un contesto diverso e ben più grave, e cioè un contesto di complicità destinata a non lasciare nulla di scritto dietro di sé.

D’altronde tale atteggiamento di contiguità e di collusione con la strategia di Ordine Nuovo da parte di MINETTO e da parte della struttura in cui era inserito è ben testimoniato dalle parole di Carlo DIGILIO in merito ai rapporti fra MINETTO e il dr. MAGGI, i quali si frequentavano stabilmente coordinando di fatto le rispettive strategie.

Il dr. MAGGI, pur non entrando direttamente a far parte della struttura americana, aveva accettato di rendersi disponibile a rivelare i programmi del suo gruppo e, in particolare, tutte le situazioni rilevanti che riguardassero armi, esplosivi o attentati in preparazione, come era avvenuto in occasione dell’incontro appena citato (int. DIGILIO, 19.4.1996, f.3)., precedente di pochi giorni la strage di Brescia.

Era questo un riconoscimento, da parte del dr. MAGGI della rete informativa americana quale alleato posto che, da solo, Ordine Nuovo non poteva pensare di ribaltare la realtà istituzionale del Paese, ma al più solo accendere, in senso non solo metaforico, il detonatore che consentisse ad altri di scendere in campo.

Quando il dr. MAGGI aveva cercato comunque di farsi accettare organicamente nella struttura americana, ormai all’inizio degli anni ‘70, tale richiesta non era stata accettata perché il gruppo di Ordine Nuovo era già gravato da troppe "magagne" per quello che aveva commesso ed il reclutamento di elementi sicuri e non "pericolosi" per la struttura, in caso di indagini giudiziarie, si era già concluso molti anni prima (int. DIGILIO, 14.12.1996, ff.5-6).

Nonostante la necessità di seguire tale direttiva, che veniva dall’alto, Sergio MINETTO si era comunque molto dispiaciuto in ragione della grande stima ed amicizia che lo legava al dr. MAGGI (int. citato, f.6)

In conclusione, l’attività spionistica di Sergio MINETTO non risulta in alcun modo scriminata dall’esercizio di un dovere nei confronti di una struttura alleata in quanto egli, con le operazioni ora descritte, non ha indirettamente tutelato, bensì messo in pericolo il nostro Paese e la nostra collettività.

Egli, ove non abbia favorito direttamente con il suo operato azioni eversive, ha ostacolato le indagini in corso (si veda la sua presenza nell’episodio relativo all’avv. Gabriele FORZIATI) e anche sotto tale profilo deve rispondere del reato di cui all’art.257 c.p. in quanto, secondo la migliore dottrina, l’interesse politico interno dello Stato, tutelato da tale norma, può riferirsi anche ad attività eversive in grado di mettere in pericolo la sicurezza e il quadro istituzionale dello Stato e tali erano, certamente, le attività della struttura occulta di Ordine Nuovo.

Sergio MINETTO ha mantenuto fede e continuato idealmente tale atteggiamento, a distanza di tanti anni e in un contesto internazionale ormai mutato, anche nel corso della presente istruttoria, chiudendosi in un ostinato e cupo silenzio che mostra come, nell’agente pur ormai in pensione, non vi sia stato il germe di alcuna riflessione critica né egli abbia sentito il dovere morale di raccontare dinanzi alle Autorità del suo Paese quanto a sua conoscenza in merito a vicende tanto delicate e importanti per la nostra storia recente.

Un silenzio legato ad un vecchio rapporto di fedeltà di servizio, posto che è ben difficile, per ragioni di età e di salute, che tale atteggiamento sia dovuto al timore di una pena.

All’imputazione di cui all’art.257 c.p. si aggiunge nei confronti di Sergio MINETTO quella di detenzione di armi e bombe a mano (capo 34 di rubrica), collegata al recupero della dotazione personale del prof. Lino FRANCO dopo la sua morte avvenuta nel 1969.

Si veda, in proposito, l’interrogatorio di Carlo DIGILIO in data 9.1.1997:

"...in relazione alla dotazione logistica di Marcello SOFFIATI, faccio presente che nell'abitazione del padre di Marcello, in cucina anzi, per la precisione nella cantina da cui si accedeva tramite una botola sita in cucina, c'era un nascondiglio in cui Marcello, oltre al Moschetto 91/38 cui ho già fatto cenno, anche un fucile mitragliatore Machinengewehr 15 di fabbricazione tedesca.
Quest'arma gli era stata data da Sergio MINETTO, il quale a sua volta l'aveva rilevata dal prof. Lino FRANCO quando questi era morto.
Si tratta del tipo di fucile mitragliatore, con caricatore a sella e bracciolo a due gambe che si può poggiare anche sulla spalla, che Lino FRANCO aveva utilizzato durante la guerra sul fronte di Cassino e alla fine della guerra se lo era portato a casa.
Si tratta cioè dell'arma cui ho fatto cenno nell'interrogatorio in data 13.1.1996 e che serviva ai reparti antiaerei Flak.
Il caricatore ha due tamburi e consentiva l'inserimento di due nastri.
Ho visto il moschetto e questo fucile mitragliatore in quel nascondiglio nel periodo in cui io rimasi latitante per qualche settimana a casa di Bruno SOFFIATI nell'estate del 1982.
C'era anche una vecchia valigia di similpelle piena di cartucce Mauser per il fucile mitragliatore che però erano tutte ossidate.
Dato che io ero latitante pregai SOFFIATI di liberarsi di questa roba in quanto se fosse stata trovata al momento della mia presenza avrebbe peggiorato la situazione.
Qualche giorno dopo, SOFFIATI mi disse che effettivamente se ne era liberato, ma non so se gettandola o restituendola a MINETTO".
(DIGILIO, int. 9.1.1997, ff.1-2).

Anche le bombe a mano già detenute dal prof. FRANCO erano state recuperate e incamerate, dopo la sua morte, da Sergio MINETTO il quale aveva così arricchito la dotazione della struttura di materiale illegale e non registrato della struttura (int. DIGILIO, 12.10.1996, ff.5-6).

Concludendo in merito alla posizione di Sergio MINETTO, va ricordata una circostanza, pur lontanissima nel tempo, che serve, anche sul piano storico, a confutare il ruolo con il quale MINETTO ha voluto dipingersi, e cioè quello di un semplice marinaio della Repubblica Sociale Italiana, di un normale lavoratore emigrato in Argentina dopo la fine della guerra e di tranquillo artigiano per tutto il resto della sua vita.

Durante la perquisizione effettuata nella sua abitazione il 17.5.1995, è stato rinvenuto e sequestrato un ritaglio del Corriere della Sera, risalente al febbraio del 1945, che conteneva il resoconto di un episodio apparentemente di cronaca nera avvenuto a Milano in Galleria Vittorio Emanuele.

Un marinaio della X M.A.S. era stato aggredito da due sconosciuti, certamente a scopo di rapina, e un poliziotto in abiti civili che si trovava a passare per caso aveva cercato di difenderlo rimanendo però ucciso da un colpo di pistola esploso da uno dei due rapinatori (cfr. vol.1, fasc.20, f.32), i quali si erano poi dati alla fuga.

Sergio MINETTO ha spiegato di aver conservato tale ritaglio in quanto era proprio lui il marinaio aggredito e che nell’occasione stava trasportando, per ordine del suo Comandante, una valigia contenente la somma di 85 milioni che dovevano essere versati presso la vicina Banca Commerciale.

Subito dopo, benché egli fosse l’aggredito e non l’aggressore, MINETTO era stato circondato da alcuni agenti della ETTORE MUTI (un corpo speciale della R.S.I., operante a Milano, fra i più fanatici), portato nella loro caserma, interrogato e violentemente picchiato (int. MINETTO al P.M., 2.6.1995, f.3, e al G.I., 24.5.1996, f.5).

Solo dopo alcuni giorni, per intervento dei suoi superiori, MINETTO era stato rilasciato e la valigia con il denaro restituita.

L’episodio appare difficilmente inquadrabile come un semplice fatto di delinquenza comune e comunque non si spiega in tal modo l’arresto di MINETTO, vittima dell’aggressione e trattato poi con estrema violenza dagli uomini della MUTI.

L’enormità della somma trasportata nella valigia (pari ad alcuni miliardi di oggi e alla cassa di un’intera Divisione dell’Esercito della R.S.I.) e il momento in cui il fatto avvenne (nel febbraio del 1945, a poche settimane dal crollo della Repubblica Sociale Italiana) consentono di avanzare l’ipotesi che esso, invece, si inquadri all’interno della lotta intestina fra le varie fazioni della R.S.I. prossima alla fine e cioè, da un lato, la componente più violenta e fanatica di cui faceva parte la MUTI e, d’altro lato, i settori della Marina in procinto di trovare, soprattutto con il campo anglo-americano, soluzioni concordate che garantissero la salvezza dei loro uomini e un ruolo degli stessi anche nel dopoguerra.

Il trasporto e il versamento di una somma così ingente può ricollegarsi a qualche manovra o trattativa di tal genere, con l’interessamento, forse, di alcuni esponenti del mondo industriale cui, secondo MINETTO, la somma era diretta per il pagamento di loro attività in favore della Marina della R.S.I.

Quello che è certo è che Sergio MINETTO non era già allora un qualsiasi marinaio, ma, sin dal 1945, un elemento della massima fiducia, su cui i suoi Comandanti potevano contare per trasportare da solo una somma enorme, ruolo che ben si inquadra, nonostante le proteste dell’imputato, con quello assunto dopo la fine della seconda guerra mondiale ed emerso solo oggi grazie al lungo racconto di Carlo DIGILIO.


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