Resent-Date: Thu, 13 Nov 1997 16:14:25 +0100 X-Sender: canali@planet.it

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To: arti-party@breton.dada.it

From: canali@planet.it (Mario Canali)

Subject: arte non arte

Date: Thu, 13 Nov 1997 16:13:57 +0100

Resent-From: arti-party@breton.dada.it

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Leggo Marco Fichera, leggo Giuseppe Vergani. Va bene, cerco di essere più chiaro..

Le operazioni di Manzoni (merde d'artiste) e Duchamp (orinatoio) hanno voluto dire, per me, una cosa molto chiara. Che qualsiasi tentativo di separare l'arte dalla vita, anche se fatto in nome dell'arte, e' sbagliato e destinato a fallire. E altrettanto sbagliato e' pensare che il valore dell'arte possa discendere da un semplice processo di autoreferenzialità: l'arte è cio' che viene considerato arte, artista e' colui che opera nel campo dell'arte. Cosi' Manzoni dice: dite che ogni cagata, purche' fatta da chi viene considerato artista, e' arte? e allora dovete attribuire valore anche alla mia merda reale.

Duchamp dice: dite che il museo, o la galleria, sono i luoghi che certificano che una cosa e' arte? Allora anche un orinatoio, purche' esposto in un museo, diventa arte.

La loro genialità è consistita nel fatto che la loro operazione, la 'pratica', apparentemente negava il 'valore' dell'arte, ma nello stesso tempo, negandolo, lo riaffermava.

Tanto è vero che quelle opere attualmente hanno anche un valore di mercato considerevole.

E il fatto di essere valutate all'interno del mercato non segna la sconfitta di Manzoni e Duchamp, ma la loro vittoria. Perche' in quegli oggetti e' evidente che l'unico valore che puo' essere loro attribuito e' quello di essere la testimonianza di una pratica, questa si', di valore.

Allora arte o non arte?

Questa mi sembra la continua costante di tutti gli interventi. Ma perchè rimanere fermi a Manzoni e Duchamp ? perche' continuare a infognarci nel continuo confronto arte e merda? lasciamolo al mondo dell'arte, questo perpetuo dilemma.

E' proprio perche' non ne potevo piu' di questi continui riferimenti che ho scritto il mio messaggio coprofilo.

Per chi non se ne fosse accorto dico: volevo essere paradossale, e il mio intento andava esattamente contro la risposta di Giuseppe Vergani, che oltretutto rimette in rete una citazione già comparsa (jupiter@galactica dell'11/9/97).

Ma chi se frega!

Non è questo il punto, e non è il punto non perchè non ci sia da discutere anche su questo, ma perchè improvvisamente e' diventato poco interessante, perche' c'e' un sacco di altro a cui pensare, e soprattutto, da fare. Questa e la grossa novità.

Con l'avvento del digitale improvvisamente si e' aperta una porta sterminata, infinita.

Il motivo per cui ho abbandonato la pittura ad olio per dedicarmi al computer e stato proprio questo, che non ne potevo proprio piu' degli infiniti dibattiti sull'arte propri del mondo dell'arte, e che quella tensione, o ansia, o insoddisfazione, o fame, o ricerca del piacere, o desiderio di liberta', o chiamiamola come vogliamo, forse, nel computer, o meglio, negli spazi che quello strumento poteva aprire, poteva finalmente appagarsi.

E cosi' è stato.

Perche' il digitale proprio questo ci ha dato, nuovi spazi. E ci permette di dimenticare Manzoni e Duchamp, non perchè non siano dei grandi, ma perchè c'è finalmente altro da fare che non cercare di dimostrare che la vera arte non e' merda.

Il problema non esiste piu'. Non c'e'. Non perche' sia stato risolto, ma per sovrabbondanza di altro da fare e da pensare. L'ho gia' detto, sono d'accordo con Tommaso per lo spirito che ha animato il suo gesto, per la sua pratica quotidiana, per la tensione, la direzione e la profondità della sua ricerca intellettuale, e per questo, lo ripeto, mi metto dalla sua parte. Ma non riesco a seguirlo in cio' che ancora di troppo duchampiano ha la sua pratica.

Tommaso, lo dici tu stesso, con Perniola, che pure per me troppo si compiace di questa posizone, l'arte oramai vive molto di piu' al di fuori degli ambiti non estetici.

La maggior parte delle opere esposte in quella mostra il loro valore se lo sono conquistate fuori, sul campo.

L'operazione è esattamente l'opposta di quella di Duchamp. Il loro senso, anche il loro senso artistico, quei lavori lo hanno raggiunto in luoghi non estetici, al gabinetto per continuare la metafora di Duchamp. La scatoletta di Manzoni al di fuori del museo ridiventa merda, l''ortinatoio' di Duchamp ridiventa un pitale, e cosi' continuano a leggerli le persone che non partecipano ai dibattiti del mondo dell'arte. Le nostre opere, i nostri oggetti, le nostre macchine digitali, continuano invece a trasmettere senso anche al di fuori di un museo o di una galleria, ad infiniti livelli, accettandoli tutti e adattandosi a tutti, da brave macchine complesse che sono.

E non c'è nessun Penrose che possa sottrarre o attribuire loro coscienza e anima, come non c'è nessun museo che possa donare o negare loro valore di opera d'arte.

Questo intendo quando dico di accettare la complessita' e questo intendo quando dico che che non si puo' piu' separare la mente dal corpo. Per questo anche rifiuto le pretese definitorie e classificatorie di un Penrose, non voglio piu' saperne dell'intelligenza che, anche in nome dei piu' alti principi, foss'anche quello della logica identitaria, pensa ancora di poter esludere o includere.

E ringrazio per questo chi con la sua pratica, in particolare Flavia Alman e Sabine Reiff (alias Pigreca, alias Frutta Interattiva, alias Soggetti Nomadi, ex Correnti Magnetiche),oltre agli altri, me lo ha reso evidente. Amo invece il rigore che sa giocare liberamente con i gabinetti e con le chiese senza attaccarsi ne' agli uni ne' alle altre, anche solo per negarli; che sa apprezzare senza sconvolgimenti interiori sia lo schermo di un computer che un acquarello, che sa riconoscere il valore dell'arte e quello della merda senza metterli a confronto, con la stessa leggerezza e attenzione con cui entra ed esce da un sito internet. Spero di essere stato un po' piu' chiaro. Mario Canali

 

 

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