Autodeterminare l'identità - da un racconto

di Tommaso Tozzi



(Pubblicato in "Arte, Identità e Confini", ediz. Carte Segrete, Roma, 1995. Atti del convegno tenutosi al Palazzo delle Esposizioni a Roma nella primavera 1995 a cura di C.C.Bagarciev e L.Pratesi. Originariamente inserito come messaggio nella rete Cybernet).

"L'identita' (o pseudonimo che sia)
puo' non diventare un vicolo cieco
quando e' AUTODETERMINATA"

el Pedro

Da un problema di protezione della privacy torniamo ora a puntare lo sguardo sul tema dell' "interattività", tanto discusso e pubblicizzato dai media ma assolutamente non compreso nei modi in cui si sta incanalando la gestione dell'interfaccia della madre delle reti "The Internet".

"Diventa un pittore con il computer...
Monta il tuo video con un PC...
Realizza il tuo concerto in casa con la scheda audio...
Crea la tua rivista interattiva con...

e per ultimo

entra in contatto con il mondo con un modem..."

"Ho la casa piena dei miei sogni. Ho i cassetti che straboccano di floppy disk. Immagini, suoni, video, testi, che nessuno o quasi ha mai letto, visto, ascoltato.
Sono felice di averli fatti; ci credo.
Ora vorrei iniziare a confrontare i miei materiali con quelli degli altri. Mostrarli per sentire l'opinione degli altri. Aspettare con ansia lo stupore, la gioia, l'indifferenza o il disgusto per ciò che faccio.
Mi trovo con in mano il mouse, ho il mondo in mano, ma riesco a malapena a cambiare canale, a vedere scorrere sul monitor i bellissimi sogni di qualcun'altro. Chiudo il collegamento perché non ho più soldi a sufficenza per pagare la bolletta..."

"Ho vagabondato un po' all'interno di The Internet. Ho preso il mio zaino e in un modo o in un altro ho viaggiato in bellissime città virtuali, librerie elettroniche, musei, graffiti, ...
Avevo la sensazione di essere un angelo che riesce a entrare nelle case degli altri, vederne le pareti, sentirne le conversazioni, ma non poter farsi vedere, ascoltare, toccare.
A volte improvvisamente cascavo pesantemente dal cielo e diventavo umano, fatto di carne e ossa, gli altri mi vedevano e riuscivo a mostrare a loro le mie foto, i miei ricordi, a fargli sentire la musica della mia chitarra. Ma era raro. Quasi casuale. Nel mio vagabondare rimanevo quasi sempre un angelo che conosceva il paradiso e la terra ma era ad essi sconosciuto.
Non riuscivo ad "auto-determinare" la mia identità. In quei pochi casi in cui mi trovavo ad essere uomo per presentarmi al mondo dovevo chiedere un autorizzazione e aspettare che qualcuno si decidesse a presentarmi agli altri."


Un problema tecnico/economico e un problema di programmazione dell'interfaccia.

Analizzando le varie possibili interfacce con cui è poossibile vagabondare per The Internet, e frequentandone un certo numero di siti, emerge il dato che vi sono due zone differenziate nella rete:

- quella dei chat e delle conferenze da una parte
- quella della consultazione dei materiali archiviati dall'altra.

All'interno dei chat e delle conferenze è possibile parlare, fare sentire la propria voce e non essere costretto a usare il nome reale, si può inventare o "auto-determinarsi" la propria identità. Tali spazi sono però "temporanei". Sono simili a una piazza dove ci si ritrova e si chiacchera con altri. Non è poco, mi ricorda il muretto di una nota piazza di Firenze dove in periodi della mia vita sapevo che se vi andavo avrei trovato quel determinato gruppo di persone con cui avevo una certa confidenza e scambiavo le mie idee. Sono luoghi di incontro e di esperienza, bellissimi e importanti, ma comunque transitori. Il chat si dissolve nel momento stesso in cui termina la conversazione, le aree di conferenza permangono per qualche giorno e poi scompaiono nel nulla, inghiottite nella memoria di chi vi ha partecipato. Posso comunque, passeggiando nella piazza, chiamare una persona e consegnargli un libro o una foto o un nastro registrato, glielo spedisco nella sua mail-box privata, ma è indirizzato solo a lui non al mondo intero.

Esiste in The Internet anche l'altra zona, quella dei musei virtuali, delle biblioteche elettroniche, delle edicole, etc etc. E' giusto usare il plurale, in quanto le cose sono interconnesse tra loro e mentre si è nella stanza di una libreria di chicago si può varcare la soglia della stanza accanto e rendersi conto di essere nella libreria di Colonia. Questo è meraviglioso. Questa è l'interfaccia di programmi come Mosaic o Netscape. Sono di fatto piante del territorio ipermediali che ti permettono di viaggiare dove vuoi tu con salti improvvisi decisi da te. Puoi trovare un numero indefinito di materiali da mettere nel tuo zaino e leggerti in seguito a casa.
Questa seconda zona mi ricorda due cose: mi ricorda la mia possibilità di vagare per la città in cui vivo, entrare se voglio in una libreria, sfogliare un giornale, andare al cinema, ...; mi ricorda anche me stesso di fronte a un televisore con al posto del telecomando un mouse.
In questa seconda zona non riesco a parlare. Sono uno spettatore. In questa seconda zona non riesco a autodeterminare la mia identità.
Mi è permessa la lettura, la visione o l'ascolto, mi è permesso di scegliere il percorso e la modalità in cui io voglio fare queste tre cose, ma non mi è permessa la parola, non mi è permessa l'esposizione al mondo dei miei materiali (testi, immagini, video, suoni). In quella zona non vi è interattività. Eccetto casi rarissimi. Eccetto altri rari casi in cui si attende un'autorizzazione e quindi anche un possibile rifiuto alla pubblicazione.
Per "mostrarmi" devo prevenire gesti o cose che potrebbero non essere accettate e non rese pubbliche. In quei rari casi dove è possibile chiedere di mostrare i propri materiali, mostrarsi e quindi creare la propria identità pubblica tramite il mostrare i propri materiali, devo tenere presente che una mia determinata identità potrebbe non essere resa pubblica e quindi l'autodeterminazione della mia identità è subordinata a una sua coesione con l'identità di altri.

"Sono nella città reale. Vorrei far leggere agli altri un libro che ho scritto. Cerco un editore, ma nessuno me lo vuole pubblicare. Me lo autoproduco. Ho pochi soldi, quindi è fatto di fotocopie, è una fanzine realizzata con materiali "brutti", ma a sembra la cosa più bella del mondo e quei pochi amici a cui l'ho mostrata in piazza l'hanno apprezzata e sono come me entusiasti. Ne faccio 200 copie, non posso permettermi di più, e inizio a girare le librerie della città. Nessuno me la vuole distribuire. C'è un problema di autorizzazioni. C'è un problema di "non vendibilità" del prodotto. Torno a casa depresso e traduco le mie ansie in una bellissima immagine realizzata al computer. La registro su un floppy disk e la porto a far vedere al mio amico di computer. Anche lui è entusiasta. provo ad andare in una galleria d'arte e gli propongo di prendere visione del mio lavoro per esporlo. Non possiede un computer e guarda in modo ironico il floppy disk che tengo gelosamente in mano. Gli spiego che non mi interessa il suo parere, che io voglio fare vedere la mia immagine indistintamente al mondo e che potremmo organizzare una mostra che sia una distribuzione e vendita di floppy disk. Colui a cui interesserà se lo guarderà sul proprio computer e potrà inoltre farci ciò che vuole, manipolarla. Cerco di fargli capire i vantaggi che derivano dal fatto che un floppy disk costa poco o nulla. Non è disposto a pagare una duplicazione dei floppy disk e in ogni caso serve qualcosa di più, il prodotto per essere vendibile deve essere "ben confezionato". Esco dalla galleria d'arte ancora più depresso, vado in un service dove stampano su foto o carta le mie immagini da floppy disk. Mi fanno vedere degli esempi, sono molto belli. Chiedo i prezzi. Faccio un po' di conti e mi accorgo che per "confezionare" una mostra "decente" devo spendere almeno uno stipendio. Non me lo posso permettere. Potrei rischiare, ma se poi non vendo niente come mangio? Inoltre io non volevo "vendere" i miei lavori. Non mi interessava guadagnare dalle mie immagini. Più semplicemente volevo mostrarle al mondo. Faccio un ultimo tentativo. Stampo le immagini con una stampante a aghi su carta normale in bianco e nero. Ne faccio una cinquantina di fotocopie, le incollo insieme su una striscia di carta velina, e faccio tre o quattro opere "grandi" e ben visibili. Torno dal gallerista, sono fiero di me e della mia astuzia, ma mi trovo di nuovo di fronte a un muro. L'opera non è sufficientemente elegante. Certe cose non sono vendibili, non interessano ai collezionisti. Vorrei obiettare che la categoria "collezionisti" è un piccolo insieme della categoria "mondo" a cui a me interessava arrivare, ma capisco che lui fa quel lavoro per campare e non ho voglia di entrare nei particolari dei suoi guadagni e dei suoi modi di guadagnare. Sono troppo depresso per confrontarmi con una persona che non stimo. Ma non mi arrendo. La mia ansia di costruirmi un'identità pubblica mostrando i miei materiali, oltreché con le parole, è troppo grande per rassegnarmi al ruolo di "angelo" senza sesso e senza identità. Lo sguardo per caso si sofferma su una bomboletta spray posata sul pavimento e mentre il cuore mi inizia a pulsare più forte, la mente vaga già per le strade notturne di quella piazza dove di giorno passo le ore a chiaccherare. Recupero le strisce di carta con le stampe realizzate da computer, recupero le fotocopie del libro che avevo scritto, metto la bomboletta in una borsa e inizio a attendere la mezzanotte con uno strano fremito di paura mista ad entusiasmo malcelati in uno sguardo assente di fronte al televisore. Alle due di notte esco in motorino con il mio zaino arrivo sotto le logge e inizio a incollare le mie strisce di carta, incorniciate in quel bellissimo angolo di architettura rinascimentale, proprio di fronte a dove si ferma l'autobus. Poi incollo sulle colonne la mia fanzine. Poi disegno la mia identità, quella che mi sono auto-determinato, con la bomboletta spray nera proprio all'interno degli archi del loggiato. E' un angelo con più braccia e i piedi lunghissimi. Per me è bellissimo. Dello stesso parere sono i miei amici il giorno dopo."

Sono passati dieci anni. Ho la possibilità di smettere di cercarmi librerie o gallerie disposte a mostrare i miei lavori. Esiste The Internet. Ho in mano il mouse e a fianco il modem, e con poche centinaia di lire posso far vedere a quaranta milioni di persone le mie immagini e far leggere i miei libri.
Il World Wide Web, il sistema che gestisce le "vetrine" delle librerie e delle mostre virtuali lo permetterebbe. Se coloro che gestiscono la libreria o la galleria d'arte elettronica lo volessero potrebbero permettere a chiunque, usando i programmi Mosaic, Netscape, o altri, di crearsi da soli le proprie pagine HTML e di renderle pubbliche tramite il WEB. Ma quasi nessuno lo fa. Quasi nessun gestore di sistema lo permette.
E questo è un problema di gestione dell'interfaccia.
Vago di fronte alle vetrine virtuali con il mio rotolo di carte in mano senza poter esporle da nessuna parte. Ritorno spettatore o cliente di un mercato a cui non sono invitato a fare parte.
Questa volta non ho bisogno delle bombolette spray per arrivare al mondo. Ho comprato un modem e un computer, ho preso il modello che mi potevo permettere. Ho di fronte due alternative: entrare nel "mondo della telematica amatoriale" costruendomi la mia bbs oppure provare a mettere su un sito WEB per entrare nel "mondo di The Internet". La mia intenzione è di costruirmi la mia libreria personale e la mia galleria d'arte virtuale dove rendere pubblici al mondo i miei lavori così come quelli dei miei amici o di chiunque altro lo voglia fare. Senza scrupoli di "vendibilità" dell'oggetto, di buon "confezionamento", di impostazione poetica, senza insomma costi o censure di alcun tipo. Faccio una rapida indagine di mercato da cui verifico che per mettere su un sito WEB devo pagare una certa cifra annuale alla Telecom per farmi mettere un cavo dedicato tra casa mia e la loro sede, quel cordone ombellicale senza il quale è impossibile permettere agli altri, al mondo, di entrare in tempo reale in casa tua, nella tua bbs, e vedere ciò che esponi. Inoltre devo pagare una certa cifra a un service provider per avere un pezzo di terra del mondo di The Internet, ovverosia per avere un proprio indirizzo, un proprio spazio e un proprio percorso di connessione con la madre delle reti. Poi devo comprare altri modem, altri computer, altri cavi, altro software, ... Un investimento per una configurazione minima e traballante mi costerebbe tre o quattro anni di stipendio. Ma io non volevo vendere i miei servizi, non ho dunque rientri. E non ho i soldi per fare l'acquisto.
E questo è un problema tecnico/economico.
Io volevo solo mostrare le mie cose al mondo e con esse quelle degli altri. Senza spese e senza guadagno. A me non interessava un lavoro, mi interessava di comunicare con gli altri, di costruire una mia identità sulla base delle risposte che gli altri mi forniscono al modo in cui io mi presento. Volevo avere uno scambio. Volevo crescere grazie a questo scambio. Volevo imparare e insegnare agli altri. Alla pari con gli altri. Non mi è possibile tramite The Internet. Allora scelgo la seconda alternativa. Metto su una bbs per entrare nel "mondo della telematica amatoriale". Mi scervello un po', mi faccio consigliare, aiutare, rompo le palle a destra e manca, ma alla fine metto su una bbs a costi quasi zero. E inizio a rendere disponibili al mondo le mie cose, ma anche tutto ciò che gli altri LIBERAMENTE mi inseriscono nella bbs. Lascio agli altri la possibilità di costruirsi le proprie piazze, i propri palazzi, librerie e musei, all'interno degli spazi virtuali della bbs.
La cosa non piace. Questo è il timore che adesso circola nell'aria. Nei vicoli del cyberspace si mormora che questo non piace. Si dice che vogliono farti scegliere: o fai diventare la tua bbs una libreria "reale" oppure una galleria d'arte "reale" oppure torni a fare quello che hai fatto sui muri della piazza dieci anni fa. O inizi a esercitare una "pressione" su te stesso sulla tua identità o su quella dei tuoi utenti e chiedi di "confezionare" l'informazione che vogliono far circolare nel cyberspace, o gli/ti impedisci di esporre nel cyberspazio, oppure il tuo spazio diventa automaticamente illegale come il graffito che facesti dieci anni prima. Ma quella volta rischiavi al massimo una multa, adesso rischi anni di galera. Se non costruisci una "libreria" o una "galleria" nel cyberspace, sei automaticamente muro, e sui muri non si può appendere niente. O hai i soldi per costruire un negozio e ti adegui all'idea del mercato, a delle logiche di distribuzione dell'informazione che creano regole per proteggere crimini che sono tali solo se inseriti nel contesto del mercato, o ti adegui a questo stato di cose o sei muro, un muro del cyberspace che non è tuo e su cui non hai diritto di appendere quello che vuoi. questo si mormora ora nelle piazze del cyberspace. Stanno costruendo città enormi nel cyberspace. Costruiscono negozi, strade e mettono i divieti di affissione sui muri. Le nostre piazze virtuali si stanno riempiendo di cemento e sono soffocate dagli interessi del mercato e del controllo. stanno cercando di fare ciò che hanno fatto nel mondo reale. Nel mondo reale esistono reati che sono tali solo se si prevede uno scopo del reato finalizzato allo sfruttamento economico. Ciò che potrebbe essere un semplice atto di comunicazione, di distribuzione dell'informazione, di crescita dei saperi collettivi, senza scopi di lucro, ma solo per scopi sociali o per il libero diritto all'auto-determinazione della propria identità, vengono esposti al giudizio delle leggi come se fossero finalizzati al lucro o all'esercizio del potere. Le leggi reali spesso dimenticano che le persone per vivere e comunicare hanno dei bisogni molto superiori a quelle che sono invece le quiete necessità del mercato. Al mercato è sufficiente esporre una pubblicità, per un individuo è essenziale anche il poter dare una risposta. Al mercato interessa il target "medio" della popolazione, all'individuo interessa la propria identità. Il mercato necessita di trarre un profitto dalle proprie attività, alle persone è sufficiente poter vivere collettivamente un evento o un'esperienza. Si dice che nel cyberspazio le bbs amatoriali sono elementi "anomali" e che vanno in qualche modo "normalizzati". Si dice che vogliono "regolamentare" la telematica amtoriale per farla scomparire. Non solo si dice, ma lo hanno fatto e vogliono rincarare la dose, spingere con le ruspe sui muri della telematica.

Ma finché godrò di questo mio momento terreno, finché il mio corpo sarà ben saldato e visibile per terra e la mia voce sarà udita da tutti, io esporrò le mie ragioni, io mostrerò ciò che sono e ciò che voglio essere, non mi vergognerò della mia nudità terrena, delle mie uguaglianze, così come delle mie differenze con gli altri. Finché vivrò la mia condizione di uomo tra gli altri uomini, farò ascoltare le mie parole e ascolterò quelle degli altri.

Fin quando sarò ancora un essere umano nel cyberspazio chiederò che tutto il mondo virtuale, compreso The Internet, mi faccia passare attraverso i suoi territori per chiaccherare con gli altri e per lasciare le mie tracce, i miei ricordi, i miei manufatti, per far si ché il mondo cresca anche grazie a me. Fin quando sarò un essere umano voglio che le mie parole, i miei libri, i miei suoni, i miei gesti, circolino liberamente nella rete globale e rimangano presenti nei suoi archivi a disposizione di altri esseri umani. Fin quando sarò un essere umano lotterò per impedire che vengano costruite regole utili solo a trasformare il mondo in un paradiso di angeli senza identità.

E ogni qual volta tenteranno di trasformarmi in angelo io volerò via e costruirò un altro mondo dove potrò auto-determinarmi l'identità di essere umano.

Tommaso Tozzi